NON PSICOLOGICA

 

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della mente umana

 

 

                                                                   La cultura italiana

 

Definizione di cultura: da Oxford Languages 

1- Quanto concorre alla formazione dell'individuo sul piano intellettuale e morale e all'acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società; più comunemente, il patrimonio delle cognizioni e delle esperienze acquisite tramite lo studio, ai fini di una specifica preparazione in uno o più campi del sapere: farsi una c.; un uomo di grande c.; avere una solida c. musicale, storica, letteraria.

2- In senso antropologico, il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali.

 

                                                          Un quadro culturale funzionale

 

La cultura si può anche definire come insieme di complessi aspetti cognitivi trasferiti all'individuo a livello sociale. In questo calderone di comunicazioni miste, rientrano: i dinamismi intra-familiari, le espressioni culturali delle arti (letteratura, arti figurative, media TV, cinema, moda, linguistica, etc.), la formazione scolastica, la formazione professionale e l'insieme delle esperienze che ne scaturiscono. Questo assieme di contenuti che l'individuo assorbe in modo abbastanza personale, sarà il focus di questo capitolo. Ogni aspetto culturale esercita un effetto relativo sulle dinamiche del comportamento perché rappresenta la struttura interattiva attraverso la quale le persone comunicano e si capiscono. Ogni espressione emotiva si associa a comportamenti e questi ultimi rappresentano un linguaggio strutturato che contiene i significati culturali del luogo dove si vive. In maniera indiretta, un po' come le singole parole, la cultura nel suo insieme interagisce coi modelli emozionali. Le spinte emotive utilizzano la cultura per esprimersi e la cultura canalizza le spinte emotive. Lcultura nel suo insieme, nella mente di una persona, è un conglomerato che si insedia su tanti livelli e si esprime in modo incoerente rispetto alla effettiva capacità di esprimersi della persona. Per fare un esempio, il rapporto tra la cultura installata e l'effettiva capacità comunicativa è paragonabile al pensiero e la loquacità; un soggetto può avere pensieri profondi ma avere difficoltà a narrarli. Ciò che emerge non rispecchia, di fatto, ciò che c'è. La cultura, da un punto di vista emozionale, similmente al linguaggio rappresenta un enorme canale in grado di convogliare le strutture emozionali in espressività/azioni. Come vedremo in seguito, la cultura offre anche alla persona i modelli di riferimento a cui attenersi o ai quali trasgredire, in una griglia di possibilità e opportunità che però non è infinita. Quando in una cultura domina uno specifico tratto, la persona ha un limitato ventaglio di possibilità di spaziare e districarsi dai vincoli del suo reticolo, non tanto perché la parte cognitiva non sia in grado di individuare strade alternative percorribili, ma in quanto nella mente non si strutturano modelli formati in grado di essere agiti.

 

                                        Come la cultura sancisca la morale in un sistema equivoco

 

Pertanto, da un lato la rappresentazione collettiva di 'bene' ci suggerisce un atteggiamento di disciplina e sacrificio, quando invece il soggetto è mosso e motivato da una grande voglia di soddisfazione, gratificazione e riconoscimento. Non è una novità che le persone spesso identificano il proprio valore in funzione di quanto “bene” agiscono o, al contrario, focalizzano la soddisfazione perseguita attraverso quanto “male” producono (la trasgressione delle regole per molti è una vera gratificazione). Questo avviene attraverso il forte legame tra la morale e la richiesta di approvazione/accettazione da parte dell'individuo verso l'entourage o comunità.

 

 

In altre parole, assistiamo al fatto che, nella cultura vi è una forte distorsione nell'interpretazione dei comportamenti e della loro moralizzazione in positivi o negativi. Infatti è noto che l'oggettivazione e universalizzazione dei valori sociali è basata sulla condivisione di opinioni, ma non sul loro approfondimento pragmatico. Quando più persone condividono uno stesso pensiero, esso viene assunto come vero, a prescindere da qualsiasi dimostrazione della realtà concreta, (meccanismo assai noto delle dinamiche di gruppo). Oggi altrettanto e ampiamente noto che pre-figurare le conseguenze negative di un comportamento, attiva una particolare condizione di reazione difensiva dei comportamenti del gruppo sociale stesso (controllo e manipolazione mentale attraverso la paura).

 

Per semplificare, qual ora non si seguano i precetti dei comportamenti socialmente avallati, ciò che viene comunicato al singolo è che se non si agisce bene, le conseguenze saranno caratterizzate dall'assenza e dalla privazione di un determinato bene o valore (punizione) (La morale e il suo potere esplicito). Questo attiva un particolare stato di paura inconsapevole che induce la persona ad adottare il comportamento proposto. Ecco alcune tra le più diffuse associazioni di questo tipo:

 

Se non mi sacrifico non imparo

Se non mi lavo i denti con quel dentifricio allora mi vengono le carie

Se non prego non vado in paradiso

Se non compro il disinfettante di quella marca mi ammalerò

Se non compro quel giocattolo a mio figlio non sarà felice

Se non prendo un buon voto avrò una vita infelice

Se non lavoro duramente perderò il posto

Se non mi pento non otterrò il perdono

Se non mi dedico completamente al partner smetterà di amarmi

Se non mi telefona forse non mi ama

 

Motivazione e comportamento. Accade quindi che tra la realtà e la rappresentazione che culturalmente viene assunta e oggettivata vi sia un forte divario, sia nell'ambito dell'origine (motivazione) sia nell'ambito del modo (comportamento). Nel tentativo di formulare modelli di comportamento positivi con efficacia garantita, tra le componenti della motivazione e quelle del comportamento, viene focalizzata l'oggettivazione su queste ultime, in quanto la spinta emotiva motivazionale appartiene alla sfera intima e inconsapevole dell'individuo; pertanto, meno appariscente e condivisibile. Inoltre, l'individuo tende sempre a focalizzare con significativa priorità tutti i comportamenti e i fattori dove nei propri schemi emotivi domini l'emozione primaria della paura, per ovvie ragioni funzionali e autoconservative. In questo quadro, è facile intuire come una comunità focalizza un contenuto valoriale: se ciascun individuo tende a notare prioritariamente il comportamento piuttosto che l'origine motivazionale, la collettività troverà coesione nell'oggettivare che il modello funzionale garantito riguarda il comportamento piuttosto che la motivazione.

 

In questo dinamismo sociale, abbiamo quindi il prevalere della componente morale-valutativa (trasmissione di comportamenti presunti efficaci), che genera l'oggettivazione del modo (impegno e sacrificio) e scarta il vero motore inoggettivabile e indefinibile che è la motivazione. In questo profilo, si può comprendere come i modelli emotivi individuali vengano a sommarsi in un assetto collettivo in grado di oggettivare qualsiasi cosa. Però, questa dinamica condiziona se stessa, sulla base di una visione cognitiva e apparentemente sensata, che però tende a escludere tutto ciò che non riesce a spiegare. Risulta conseguente che la postura individualmente dominante, che vede porre maggiore attenzione alle percezioni della realtà legate alla paura, diviene il criterio valutativo condiviso nel focalizzare comportamenti positivi. Questo determina un trasferimento generazionale di modelli comportamentali con una forte deformazione. In altre parole, se le persone sono turbate dalla paura, produrranno una cultura di comportamenti forgiati sulla paura. Risulta evidente che l'esaltazione del comportamento e l'omissione della motivazione sviluppano modelli e schemi emozionali deformati.

Quale legame unisce l'emozione primaria della paura al sacrificio? La risposta è una domanda fondamentale: come posso evitare di sbagliare? Oppure: qual è la cosa giusta da fare? Davanti a questi quesiti, l'individuo ha l'obbligo di risposta, pena l'emarginazione e/o grandi sensi di colpa. La risposta viene estratta dalle regole e dalle normative del Superego, ove risiedono le indicazioni oggettivate dalla collettività (stereotipi). Esse, scaturite e forgiate sulla paura, garantiscono che attraverso il sacrificio (dove l'individuo nega se stesso per uniformarsi) si annulla la colpa di ogni possibile errore. Il sacrificio rappresenta quindi una garanzia a discolpa degli errori e una più profonda risposta alle spinte del Modello Emozionale, che, fondato e oggettivato sulle pressioni della collettività, vede.

 

                                                    Il potere esercitato dalla cultura

 

Foucault “Per la realizzazione di quest'analisi egli introdurrà, tra gli altri, il concetto di episteme (Nel pensiero del filosofo greco Platone (427-347 a.C.), il sapere certo, acquisito, che si contrappone all'opinione del singolo) col quale indicherà l'insieme delle formazioni discorsive performanti per i sistemi concettuali di una determinata epoca storica, in un determinato contesto geografico e sociale. A partire dall'episteme, secondo Foucault, diviene possibile che solo certi "giochi di verità" abbiano luogo e non altri. In altre parole che nelle dinamiche competitive del sapere, esso stesso divenga un esercizio di discriminazione e limitazione della diffusione del pensiero critico. Chi usa il sapere per esercitare un potere diretto  distorce la diffusione della cultura e genera discriminazione moralizzante. Un caso palese di questo utilizzo distorto lo si è visto nella crisi del Covid-19. Le persone e anche molte figure socialmente influenti, hanno esercitato un potere basato sulla presunta assolutezza della scienza medica, generando forti psicosi e spinte discriminanti tra la popolazione. Fenomeni simili si hanno per effetto della demagogia di stato o di regime, ma in quel caso si trattò di una demagogia scientifica, millantata come un sapere univoco e assoluto: un altro tipico esempio di episteme.

 

Un altro esempio, tra i tantissimi, di disciplina che nella nostra epoca e cultura fornisce epistemi è la psicanalisi freudiana, che ricorre spesso nell'opera dell'autore oltre che come esempio di scienza in grado di produrre conoscenza, anche come fonte di esercizio di potere nel condizionare la libertà critica, sfruttando la propria autorità di disciplina consolidata. (da wikipedia per quel che riguarda l'archeologia del sapere). Se da un lato dobbiamo riconoscere una certa buona fede in chi la esercita, poiché questo potere è finalizzato a produrre stimoli e cambiamenti nel paziente, dall'altro diviene un boomerang in quanto invece di produrre consapevolezza e profondità di vedute, si commuta in competizione del sapere, per certi versi come la competitività del citazionismo. Per calarlo nella realtà delle rappresentazioni mentali di, alcune persone di mia conoscenza,  di assetto caratteriale iper-competitivo, per effetto di aver avuto problemi di tossicodipendenza e dopo aver praticato la psicoterapia analitica per molti anni si sono commutati a loro volta in psicanalisti. Non intendo con questo degradarli o illuminare negativamente il loro operato, che francamente non conosco, ma risulta interessante come la loro competitività si sia convertita in esercizio diretto del potere del sapere. Diciamo che aver superato un problema per effetto di una disciplina e divenire dei terapeuti esperti di quella disciplina non starebbero proprio sullo stesso piano. Da un punto di vista di collocazione del significato della dinamica emotiva siamo davanti alla sindrome del missionario, che focalizza lo scopo di vita nell'aiutare gli altri come mezzo per lenire la propria difficoltà esistenziale. Inutile dire che siamo davanti ad un atteggiamento funzionale di compensazione delle proprie difficoltà, oggettivate e proiettate sugli altri arbitrariamente. Processi molto simili vengono prodotti dai ragazzi che hanno difficoltà emotive e che focalizzano la facoltà di psicologia come strada della loro passione. Infatti nel il primo testo che viene posto agli studenti, viene spiegato che se si aspettano che studiare la psiche induca al superamento delle proprie difficoltà , si sbagliano e vengono avvertiti che probabilmente non è la facoltà universitaria giusta per loro. Inutile dire però, che questa avvertenza non viene ascoltata affatto. La persona si proietta in un sistema troppo rappresentativo e gratificante per essere interiormente compreso e sviscerato. Il potere sulla mente è un boccone molto ghiotto per chi ne soffre gli effetti.

 

Le interazioni umane sono permeate continuamente da un altalenare di valutazioni morali, di merito, di adeguatezza e di strutture relazionali competitive. In questo mare con le sue onde l'individuo naviga con una propria mappa delle cose che cerca; alcune delle onde che incontra sono inerenti la sfera della propria credibilità, della propria autorità, della propria apprezzabilità e della propria utilità. Riassumendo, quel concetto che, superficialmente, chiamiamo autostima (misurazione di sé). Proprio per la sua natura di misurazione di sé, l'autostima fa già parte di un sistema competitivo morale e negatorio. Perché competitivo? L'individuo continua a confrontarsi e quindi valutare la propria posizione se superiore o inferiore, adeguato o inadeguato, dove il problema si genera e si sposta nella rappresentazione che “essere ok” è la soluzione alle sue esigenze. Perché morale? Nel continuo attuarsi di misurazioni e confronti, l'individuo spesso si trova a valutare situazioni di cui non ha un'esperienza diretta e, in conseguenza, sviluppa una rappresentazione astratta nella quale egli configura i valori etici e morali, determinando una certa quantità di moralizzazioni che influenzeranno più generalmente l'insieme della sua visione. Perché negatorio? Ogni atto di valutazione che produce la rappresentazione della realtà con lo scopo di lenire la paura diviene un “pacchetto proiettivo” chiuso, con il sigillo valutativo di “migliore” o “peggiore”. In questo quadro le attività di misurazione dell'autostima, visto che hanno il secondo fine di dover compensare una sensazione di lacuna, diventano un fenomeno discriminatorio e quindi negatorio di tutto ciò che non è a sostegno delle proprie abilità, in una superficiale inconsapevolezza esclusiva (=che esclude). Le attività di confronto spesso prediligono un dialogo, ossia un sofisticato intreccio di comportamenti, dialettiche e ideologie, da condividere e nelle quali attuare dinamismi seduttivi e  competitivi. Di conseguenza, vengono a generarsi complesse gerarchie composte di molti fattori e molti segnali (stima reciproca, subordinazione, accettazione,...), in un sistema in cui, in una panoramica guardata leggermente più da lontano, uno dei due individui esercita un potere, l'altro lo legittima. Questi agglomerati comportamentali hanno una forte componente emotiva e affettiva, che stabilizza anche gli squilibri relazionali interni e li rende accettabili, sia per chi li subisce sia per li produce.  Spesso le relazioni si basano sul fatto che una persona assume una posizione dominante eminentemente verbale, sia che si tratti del chiacchierio superficiale ma anche nei casi di  competizioni intellettuali più articolate. Nello scambio  comunicativo, la dimensione verbale cognitiva che tutti noi stimiamo come primaria, quando si struttura nell'esercizio del proprio piccolo e delicato potere, in un continuo misurarsi di competenza e bravura nell'avere ragione', nell'ideare la battuta più divertente, nel citare l'aneddoto più appropriato, nel dare interpretazioni sempre alternative e originali. Questo fenomeno che, nella spicciola relazionalità del quotidiano trova facilmente un equilibrio, per molte persone non basta e l'individuo sente una fortissima esigenza di espandere la percezione di sé e il proprio valore oltre le conferme che riceve abitualmente. Ecco che la persona cerca consensi di scala superiore, quindi collettivi, in gruppi più o meno espansi di persone, più o meno importanti nell'etica collettiva (dalla compagine della parrocchia al partito politico). Nelle attività di gruppo, l'esercizio del potere assume diverse forme, ad esempio il potere della vittima, quello dell'aiuto (il missionario in senso lato), del politico, del culturale e dello spirituale. Spendiamo una parola per comprendere come il senso compensativo nelle attività del “potere” non sia da collocarsi in una visione di giusto o sbagliato, di problema o soluzione, ma unicamente come tentativo di compensazione di una spinta generata da un modello relazionale emotivo acquisito di seduttività e competitività che 'devono' inconsapevolmente essere agite, senza le quali l'individuo si sente inutile e perso.

 

 

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