NON PSICOLOGICA

 

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della mente umana

 

 

                                             Comportamenti e dinamismi seduttivi

 

Ogni nostra percezione, ogni nostra interpretazione, ogni nostro orientamento, ogni nostro segnale comportamentale ha uno scopo funzionale, a prescindere da quanto ne comprendiamo il senso. 

 

La funzionalità di cui stiamo parlando in questo capitolo è relazionale, ossia sviluppare, condizionare, ottenere qualcosa nel rapporto con gli altri. Questa univocità di senso relazionale, è costituita dal tipo di “addestramento” che l’individuo riceve nella propria comunità/famiglia. Quando una famiglia ha grande predisposizione sociale, il figlio, futuro adulto, avrà mediamente la stessa grande predisposizione sociale, mentre se la famiglia di partenza è introversa e chiusa, il futuro adulto ne avrà le medesime caratteristiche. Questa definizione potrà sembrare esagerata e rigida, e in parte lo è, perché solo apparentemente in molti casi l'assetto dei figli può sembrare diverso o addirittura opposto, ma è una questione di tempo; l'individuo approda e riprodurrà gli schemi familiari così come li ha acquisiti, sicuramente con alcune variazioni personali, ma nel quadro d'insieme non si scappa (ci sono sicuramente delle eccezioni, ma non fidatevi dell'apparenza). Pertanto, a diversi tipi di esperienze individuali, tra i fratelli corrispondono minime variazioni degli schemi comportamentali della matrice familiare. Le differenze che si generano possono sembrare macroscopiche ad una osservazione superficiale, ma corrispondono a differenziazioni nell’ambientazione e nel linguaggio della persona nel contesto relazionale del singolo gruppo. Per dirla in modo semplificato, tra fratelli sembrerà che le differenze di carattere siano notevoli, perché nel comportamento che siamo abituati a vedere notiamo le differenze, ma se osserviamo attentamente il modo di reagire agli eventi, sarà facile osservare che la modalità reattiva individuale, quando questa non sia condizionata dalla presenza della famiglia o dei fratelli (per competitività) non si discosta molto tra i componenti. Non è facile osservare con occhio distaccato questi fattori caratteriali. Quasi sempre la sensazione di differenza si basa su specifici comportamenti sui quali proiettiamo aspettative oppure non vediamo la reazione competitiva, cosicché l'apparenza del tentativo che fa un figlio di distinguersi dall'altro, per noi diviene la dimostrazione del carattere diversificato.

 

Nell’educazione/addestramento  comportamentale  si  viene a determinare che l’individuo diviene in grado di effettuare una misurazione e di sviluppare una consapevolezza di quanto egli si sente riconosciuto o accettato socialmente (al di fuori della famiglia), attraverso i feedback di tipo collettivo come ad esempio, avere tanti amici, sentirsi ascoltati quando si  parla, godere i considerazione dalle ragazze/i ecc. A differenza dei sistemi primitivi, dove la gerarchia si strutturava secondo regole elementari come la prestanza e la territorialità, nell’uomo evoluto i parametri si sono ampiamente sofisticati e sovrastrutturati in un linguaggio relazionale assai più complesso. Questa complessità rende insufficienti le abilità primarie dell’individuo nel riconoscersi e percepirsi all’interno della comunità/gruppo, sia nel proprio ruolo sociale, sia nella percezione del proprio valore e delle proprie capacità. Ne consegue che, a differenza del mondo primitivo, la parola e  i comportamenti hanno sviluppato una sofisticata rete di discriminazioni, con lo scopo di selezionare e comprendere le forme sociali da adottare. Per discriminazioni si intende il criterio di valutazione morale (bene/male, positivo/negativo) con cui governiamo o pensiamo di governare le nostre scelte e quelle degli altri; esso risulta sistematicamente arbitrario e soggetto al relativismo culturale. Questa condizione, dove l’individuo vive anche delle contraddizioni nella scala valoriale e nei feedback che riceve dalla collettività, determina una significativa e importante alterazione del livello di realismo dell’attività proiettiva. È facile intuire che un individuo si ritrova inconsapevolmente a soffrire il continuo confronto tra sé e gli altri, nel bisogno di individuare il proprio valore, l’incoerenza dei feedback che riceve in risposta lo disorienta, ne acuisce e induce a drammatizzare una percezione di sé distorta (sentirsi inadeguato). In questo panorama, nell’individuo si accresce la necessità di agire comportamenti ancor più focalizzati al fine di collocarsi e rendersi individuato socialmente e integrato nel gruppo. Tuttavia, essendo che questi comportamenti scaturiscono da un dinamismo di compensazione del senso di inadeguatezza orientato verso la collettività per averne l'accettazione, l’individuo involontariamente separa e/o confonde i propri bisogni dal bisogno di individuazione sociale. Separa orientando la percezione della propria posizione sociale come reazione, sviluppando ad esempio comportamenti trasgressivi, alternativi, antisociali, oppure confonde, plasmandosi su comportamenti che egli proietta come socialmente desiderati, come fossero una chiave di ingresso, come ad esempio performare carriera, abilità, status, di vario genere vincenti, così da sentirsi 'degno' della propria presenza nella comunità. A prescindere dalla tipologia intrapresa, che non cambia il tipo di subordinazione e il suo peso nella vita psichica e proiettiva, questo processo diviene spesso dominante nel comportamento delle persone, che antepongono l’individuazione sociale ai propri bisogni individuali. Questo spostamento della focalizzazione verso l’esterno (i feedback sociali) comporta  due  importanti  condizioni  nella  percezione  di  sé: l’amplificazione del bisogno di sentirsi socialmente collocati (titolo di studio, professione di prestigio, conseguimento degli status o relativi opposti come emarginazione, dipendenze, condotte sacrificali) e la negazione dei propri bisogni individuali (negatorietà verso se stessi). Possiamo comprendere nell'insieme questo processo interiore quando una persona, ad esempio, vive molta soggezione dal giudizio altrui. Con l’adozione di questa diversa scala valoriale l’individuo aumenta drasticamente il livello della propria sofferenza, che sia consapevole o meno. È facile notare come nelle forme e culture sociali più primitive l’individuazione dei propri bisogni è un processo primario non contrastato e disorientato dai feedback che la collettività restituisce all’individuo. Nei paesi fortemente civilizzati, invece, assistiamo a un dinamismo assai sofisticato che induce la persona a soffrire la difficoltà di sentirsi importante e riconosciuta dal proprio entourage. In questo percorso, dove l’individuo antepone la rappresentazione di sé e il riconoscimento sociale ai propri bisogni reali, osserviamo che egli attua una notevole profusione di comportamenti specificamente finalizzati; questo ci porta a comprendere che una grande attività emotiva, di pensiero e comportamentale, nasce e si sviluppa unicamente allo scopo di ottenerei feedback sociali, a prescindere  dalla  realtà  fattibile e conseguibile  per l’individuo. Potremmo dire che assistiamo al nascere di comportamenti finalizzati a ottenere dei feedback in un loop automatico e senza più un vero scopo, come forme di comportamento acquisito e interiorizzato di cui si è totalmente privi di consapevolezza. Chiameremo genericamente questi dinamismi del comportamento e relazionali “seduttività”. Il quadro dei comportamenti  seduttivi  non  si  colloca  in  specifiche  fasi  dell’età dell’individuo,  ma  fa  intimamente  parte  del  modello  emotivo primario. Pertanto, questi dinamismi sono omogeneamente distribuiti sia nelle fasi di integrazione del modello stesso come durante la pubertà e  l’adolescenza, sia nell’adulto nelle attività proiettive e rappresentative di sé. Per questa ragione, la distinzione tra i dinamismi seduttivi subordinati ai feedback sociali e quelli più autenticamente legati ai bisogni individuali è piuttosto difficile da marcare. Possiamo quindi identificare il fatto che le attività relazionali contengono implicitamente una certa quantità di atteggiamenti seduttivi. Essi sono funzionali e non collocabili nel discrimine morale come “positivi/negativi”. Comprendiamo ora che per seduzione si intende qualsiasi attività relazionale che attua l’individuo, al di fuori seduttività tradizionalmente concepita alle componenti sentimentali, sessuali e amorose. Nei dinamismi relazionali seduttivi, (che l’individuo sia attivo o passivo), sia che u n soggetto attuvi un comportamento per attirare l’attenzione o che si sia colui che la deve dare (in ogni caso), si è coinvolti in questo tipo di scambio. In questa configurazione, l’alternarsi delle emozioni primarie e secondarie (sentimenti) determina l’effettiva comunicazione relazionale con seduttività “diretta” o “conflittuale”. Quando domina l’emozione della curiosità evolutiva, l’individuo agisce una seduttività lineare e diretta nel ricercare e ottenere i feedback; quando invece domina la paura, l’individuo attiverà una certa dose di reazione difensiva e/o conflittualità. Contrariamente a molti modi di pensare, la conflittualità, frequentemente, diventa propriamente un “sistema” seduttivo dove, proprio attraverso il conflitto, l’individuo ottiene le attenzioni e gli scopi che inconsapevolmente persegue. La seduttività è da intendersi come quella moltitudine di comportamenti sempre derivati da un bisogno e, pertanto, sempre attivati da emozioni primarie. I comportamenti seduttivi sono caratterizzati da una funzionalità diretta, ossia ottenere un dato tipo di risposta o comportamento a conferma del modello emotivo che l’individuo  sta  elaborando  e/o  reiterando.  In  altre  parole,  un comportamento seduttivo si attiva unicamente in presenza di una situazione in cui l’individuo rileva il bisogno di verificare la relazionalità e/o di integrare la percezione di sé nel contesto della situazione, nella quale situazione ci sono delle condizioni che egli non percepisce come definite. Le dinamiche seduttive possono essere sia valorizzanti che depotenzianti, a prescindere dal ruolo che il soggetto assume all’interno di questo meccanismo. La scelta che l’individuo attua nella propria attività seduttiva è legata al tipo di obiettivi dove, a determinare la valorizzazione o il depotenziamento, è precisamente l’addestramento emotivo che l’individuo ha ricevuto durante la sua personale storia. Quando un individuo impara che attraverso l’efficienza ottiene attenzioni e gratificazioni, egli adotterà meccanismi seduttivi basati su quel modello efficiente e qualitativo. Parimenti, se nella sua storia l’individuo ha ottenuto più attenzioni quando agiva dinamismi conflittuali o vittimistici, tenderà ad adottare questi orientamenti come modelli  seduttivi. Le  dinamiche  seduttive  si  attivano  fino a che l’individuo non ha saturato il bisogno di completare una determinata  esperienza  relazionale;  quando  questo  accade,  cessa l’attivazione emotiva, quindi cessano anche tutti i comportamenti a essa subordinati e  l’individuo svilupperà indifferenza verso quel tipo di situazione. Proviamo a comprendere ora alcune delle caratteristiche in varie tipologie di dinamiche seduttive più frequenti: quelle valorizzanti, quelle conflittuali e quelle vittimistiche.

 

I comportamenti seduttivi a orientamento valorizzante si basano su un modello di addestramento ricevuto che vede una discriminazione  delle  attenzioni  sulla  base  della  qualità  dell’azione; quando l’azione è buona e valorizzante, l’individuo riceve una certa massa di attenzioni; se egli agisce un comportamento non buono o svalorizzante ne riceve uno scarso quantitativo. La ricezione o percezione dei feedback rientra sempre e comunque in un quadro proiettivo. Questo significa che se per me la performance non è stata buona, i feedback positivi non verranno considerati, mentre dalla mia mente saranno ricercati e amplificati i feedback negativi, a conferma del mio specifico presupposto.

 

I comportamenti seduttivi a orientamento conflittuale si basano su un modello di addestramento ricevuto che vede una discriminazione  delle  attenzioni  sulla  base  della  qualità  dell’azione; quando l’azione è conflittuale, l’individuo riceve una certa massa di attenzioni; se egli agisce un comportamento non conflittuale ne riceve uno scarso quantitativo. La ricezione o percezione dei feedback rientra sempre e comunque in un quadro proiettivo. Questo significa che se per me la performance non è stata buona, i feedback positivi non verranno considerati, mentre dalla mia mente saranno ricercati e amplificati i feedback negativi, a conferma del mio specifico presupposto.

 

I comportamenti seduttivi a orientamento vittimistico si basano su un modello di addestramento ricevuto che vede una discriminazione  delle  attenzioni  sulla  base  della  qualità  dell’azione; quando l’azione è depotenziante, l’individuo  riceve  una  certa massa di attenzioni; se egli agisce un comportamento valorizzante ne riceve uno scarso quantitativo. La ricezione o percezione dei feedback rientra sempre e comunque in un quadro proiettivo. Questo significa che se per me la performance non è stata buona, i feedback positivi non verranno considerati, mentre dalla mia mente saranno ricercati e amplificati i feedback negativi, a conferma del mio specifico presupposto.

 

Perché l’essere umano deve adottare dei comportamenti seduttivi? Perché gli altri esseri viventi non sono così permeati di bisogni seduttivi? La risposta a queste domande sta nel fatto che la collettività umana è sovrastrutturata di regolamenti e di linguaggi e l’individuo, pur comprendendone solo in parte il senso, vive una sensazione di inadeguatezza latente che deve compensare. Nell’addestramento dei figli, il genitore agisce fin dalla più tenera età nel gettare le basi di una struttura emozionale nella quale sono già definite le zone stabili e quelle lacunose sulla percezione di sé, con relativi comportamenti compensativi. Uno studio approfondito, anche se obsoleto e contestato, che inquadra abbastanza correttamente la concatenazione dei bisogni indotti, è il famoso concetto di "Hierarchy of Needs" (gerarchia dei bisogni o necessità) e la divulgò nel libro Motivation and Personality del 1954 di  Abraham Maslow.

 

Potrà sembrare inulte a questo punto entrare nello specifico dei comportamenti e del loro corollario di fattori, poiché penseremo di aver capito la questione del vittimismo. Tuttavia ne vogliamo spiegare la connotazione in diversi quadri specifici, per aiutare meglio a inquadrare correttamente la complessa catena da osservare.

 

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