NON PSICOLOGICA

 

Sito di contenuti sul funzionamento

della mente umana

 

 

                    I bisogni della persona, tra vecchie concezioni e la realtà

                                                                                     (autore: Alberto Bonizzato)

 

Rappresentazione della scala dei bisogni intrinseci ed estrinseci secondo Maslow

- Bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.).

- Bisogni di salvezza, sicurezza e protezione.

- Bisogni di appartenenza (affetto, identificazione).

- Bisogni di stima, di prestigio, di successo.

- Bisogni di realizzazione di sé (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale).

 

 

 

 

Oggi sappiamo che questo storico a famoso inquadramento dei bisogni non è più valido, anche se molti ne rilanciano ancora i contenuti come validi, in un approccio assai superficiale. I bisogni dell’individuo moderno a questo livello di rappresentazione esteriore, sono modulati e governati dalle spinte sociali, pertanto stabilire che sono bisogni intrinseci della persona non è affatto corrispondente alla realtà. Approfondiremo questo tema durante la lettura di queste pagine.

 

Come, nella realtà, la mente determina

e definisce un bisogno

 

Dalle altre pagine, abbiamo appreso che per varie ragioni il "sistema limbico" e le sue funzionalità hanno il predominio sulle attivazioni (arousal) e risposte di reazione. Avviene quindi che in base a come si attivano le catene emotive primarie, la persona regola il proprio comportamento. Da questo complesso processo, emerge un fattore più interessante di altri, che secondo il quale se si attivano certi livelli di apprensione la persona coglie ed interpreta solamente una parte della realtà, quella più pertinente all'apprensione attivata. Quindi, per fare un esempio, se nei miei schemi emotivi è presente una postura che prevede una elevazione di apprensione nei rapporti sociali, io vedrò e noterò soprattutto i segnali e gli atteggiamenti delle persone che avverto come minacce o allarmanti. Oppure ancora, se si accende la mia attivazione di paura nei rapporti sociali con l'altro sesso, tenderò a focalizzare e notare tutti i comportamenti che sembrano la fonte della mia apprensione. Ma riflettendo bene su queste dinamiche, sarà facile osservare che la mia attivazione emozionale primaria (di paura e proiezione di minaccia) si attiva molto tempo prima degli eventi che la mia mente tende ad interpretare come spiegazione della apprensione. In altre parole, se io temo il male, la mia mente lo cerca anche e soprattutto quando non c'è.  Questo meccanismo di precursione degli eventi su spinta apprensiva, si chiama “proiezione” ed è un meccanismo continuamente attivo, completamente automatico, del quale la persona non ha minimamente coscienza. Per tante ragioni, che non spiegherò in questo contesto, tutto il nostro sistema di pensiero, di cognizione e di coscienza è governato sotterraneamente dai processi proiettivi (si può trovare una trattazione approfondita di questo tema nel libro Emozioni e felicità ISBN 978-88-249-01338 del 2016). La struttura delle dinamiche emotive e dei processi proiettivi è imponente e con la sua complessità ci condiziona la vita in modo molto pesante sia nel bene che nella sofferenza. In questo quadro, la mente continua a produrre rappresentazioni della realtà che sono sintonizzate coi nostri stati emotivi primari, definendo quindi successivamente le gioie e le sofferenze (sentimenti). Naturalmente ogni volta che si attiva una sofferenza la mente, oltre a cercare di definirne la sorgente (colpa di...) opera in modo di definire una strategia per eliminarla. In questa ultima operazione si viene a delineare l'idea del bisogno. Nel pensiero collettivo standard si paragona il bisogno a un qualcosa di funzionale, come nella piramide di Maslow. Pertanto, se ho sete la mia mente focalizza il bere come soluzione, se ho fame mi attivo per cercare cibo, ma cosa accade se la spinta non è cosciente come ad esempio nel caso di senso di inferiorità oppure il senso di inadeguatezza? La risposta a queste domande è semplice solo all'apparenza, poiché la soluzione a questi stati di coscienza è troppo intricata per essere razionalizzabile in modo semplificato. A questi complessi stati d'animo dobbiamo dare una collocazione e la mente cognitiva, non potendo spesso ricorrere a risoluzioni dirette, inizia a focalizzare la colpa su fattori esterni, oppure interni, definendo cose sbagliate e da cambiare, sulla base delle quali si viene a formulare una lunga catena di tentativi di cambiamento. I bisogni della persona si identificano quindi nella necessità di cambiare. Ma cambiare cosa? I comportamenti? I pensieri? Le persone intorno a noi? Ecco che ora possiamo capire meglio che l'origine di una certa quantità di "bisogni" proiettati nasce come diretta conseguenza nel tentativo di compensare o cambiare delle cose che non ci piacciono, ma nel contempo queste cose scaturiscono da processi emotivi profondi, di cui non abbiamo coscienza e ancor meno riusciremo a cambiarli. Questa ineluttabilità, si fonda proprio sul fatto che le attivazioni emotive che ci fanno soffrire nascono e si sviluppano non in attinenza agli aspetti che la coscienza individua e identifica, ma al contrario, in momenti e situazioni che con la realtà non hanno alcun legame (proiezioni appunto, ossia films auto-prodotti). Le mie proiezioni di inadeguatezza sono onnipresenti e mi accorgo (coscientemente) del loro effetto sempre dopo che gli aventi hanno avuto luogo.

 

Rappresentazione mentale dello stato delle cose

 

Sommariamente abbiamo capito che la mente proietta ciò che il sistema limbico attiva dal profondo. Possiamo quindi affermare che in una stanza, dieci persone, avendo dieci esperienze emotive e dinamiche diverse, vedranno e coglieranno dieci tipi di realtà diversa, con solamente alcuni tratti della proiezione condivisi. Ad alcuni quella stanza piacerà mentre per altri no, alcuni gradiranno le persone presenti mentre altri no e così via, con tutte le variabili e sfumature dettate proprio dalla specifica individualità dello sviluppo del proprio sistema emotivo primario. Oggi possiamo dire con certezza che la percezione sensoriale della realtà viene filtrata e rimodellata nel cervello secondo le specifiche necessità consapevoli e/o inconsapevoli da ciascun individuo. Quello che scaturisce da questa riflessione è che l'identità che una persona ha di sé, è assolutamente unica per effetto di questa particolare dinamica mentale, ma non riflette affatto ciò che avviene nei processi mentali proiettivi. Ogni individuo pensa di essere in un modo, ma non ha una reale coscienza di come si comporta, come i propri comportamenti condizionino quelli altrui e come si generano le sequenze comportamentali che vive nella propria quotidianità. Se non fosse così, ciascuno avrebbe il pieno controllo della qualità della propria vita interiore. I fatti che avvengono intorno a ciascuno di noi, sono fatti interpretati secondo una sequenza di presupposti, impliciti, abitudinari e quasi del tutto inconsapevoli, secondo i quali poi la mente cognitiva  genera una rappresentazione comprensibile e in qualche modo logica. Nella mia esperienza, ho potuto registrare che raramente una persona è in grado di fare previsioni e ancor meno fare inferenze nella rappresentazione di diversi assetti in uno stesso comportamento.

 

Focalizzazione del bisogno inconsapevole

 

Per effetto dell'attività proiettiva le molteplici condizioni e stimolazioni vissute dalla persona vengono collocate nel quadro della comprensione e di conseguenza divengono forme di rappresentazione della realtà. Queste complesse sequenze generano dei percorsi, dei fili conduttori, che concretizzano una identità di sé. Potremmo definire queste complessità metaforicamente come delle medie aritmetiche, nelle quali si ricava che approssimativamente la direzione presa dagli eventi indica lo stato interiore. Se le case vanno male allora ho qualcosa da aggiustare. Il ripetersi degli eventi di una stessa categoria certifica che cosa c'è da modificare. In questa descrizione possiamo comprendere che le cose da aggiustare rappresentano precisamente dei “bisogni” che la mente focalizza come soluzione a qualcosa che non funziona. Ma come accennato nel titolo alcune di queste rappresentazioni avvengono in un quadro di componenti inconsapevoli e quindi la persona non può comprendere appieno come avviene un evento ricorrente. Magari ne percepisce lo stato d'animo, la sofferenza, una parte delle concause, ma non riesce a definire la catena dei fattori generatori. Anzi, frequentemente la complessità super di gran lunga la capacità di comprensione anche più raffinata ed analitica. Questa articolazione trova una qualche comprensione quando si va ad indagare i comportamenti secondo una diversa logica, potemmo dire una “anti-logica” che al posto di una base “causa-effetto” utilizza un criterio “intenzione-riproduzione”. Come capiremo negli esempi riportati sotto, moltissime azioni che le persone fanno, seguono esattamente un criterio reiterativo di modelli acquisiti, senza una coscienza diretta e senza una intenzionalità consapevole dello scopo. Nel migliore dei casi molti comportamenti vengono attuati nella generica rappresentazione che quel dato comportamento è normale, nulla di più.

 

Focalizzazione del bisogno consapevole

 

Contemporaneamente al generarsi di bisogni attivi inconsapevoli, la mente genera di conseguenza dei bisogni consapevoli, sviluppati come rappresentazione del soddisfacimento di varie necessità. Quindi siamo davanti ad una ulteriore conseguenza dei meccanismi proiettivi di cui abbiamo già letto. Questi, appartenendo alla sfera cognitiva, contengono le loro sviluppo e identificazione una certa logica causa-effetto e pertanto vengono ad assumere una importanza particolare per l'individuo. Nella mentalità e cultura moderna, il valore della logicità delle spiegazioni ai fatti e comportamenti ha assunto un peso dominante rilevante, al punto di sancire la legittimità di ogni cosa, a patto che abbia una logica in qualche modo razionalizzabile. Ogni focalizzazione di un presunto bisogno, se ha una propria razionalità, diviene un valore oggettivo con il quale la mente ne assume l'assolutezza e giustezza.

 

 

                                I bisogni reali e i bisogni proiettivi

 

In questi paragrafi, andiamo a trattare e a comprendere le strutture e gli equivoci di questo concetto così importante. Esso viene sistematicamente associato al concetto di soddisfazione, al punto che questo binomio è divenuto nel tempo incrocio e, nel contempo, focale di una moltitudine di fraintendimenti. Per comprendere chiaramente come e cosa guardare per collocare correttamente l'interpretazione dei bisogni di un individuo, dobbiamo innanzitutto dividere gli aspetti “sorgenti” e gli aspetti “progettuali” conseguenti con le loro rispettive funzionalità. Escludiamo in questa trattazione i bisogni fisiologici e primari, come dormire, mangiare, riprodursi e relativi corollari, perché dobbiamo ricordare che il Modello Emozionale ha un solo modo di svilupparsi:

acquisizione, ripetizione, sviluppo della esperienza (associativa).

 

Gli aspetti sorgenti corrispondono ai bisogni reali, ossia quei bisogni che guidano realmente la condotta, le posture e l'esperienzialità relazionale dell'individuo: sono i bisogni di riprodurre il Modello Emozionale (con le sue attivazioni accessorie) e di compensare le sue lacune evolvendo.

 

Gli aspetti progettuali, invece, corrispondono ai bisogni proiettivi, che si strutturano conseguentemente all'effetto delle proiezioni e dei relativi feedback ricevuti e confermano/sconfermano l'efficacia del proprio Modello.

 

L'individuo che, inconsapevolmente, riproduce linearmente il proprio Modello Emozionale , vive nel benessere, a prescindere dalle tipologie di sofferenza che egli affronta, poiché queste sono parte intrinseca del Modello stesso. L'equilibrio emotivo della persona vive in un continuo scambio tra i propri comportamenti e i relativi feedback, in un flusso che continua a mantenersi in una condizione di bilanciamento. I feedback che l'individuo riceve danno indicazione dell'adeguatezza dei  comportamenti che sono stati agiti.Nel momento in cui l'individuo riceve dal proprio ambiente dei feedback che pongono come inefficiente una o più porzioni del proprio Modello Emozionale, si attiva la funzionalità automatica rivolta alla compensazione della presunta lacuna. Questa “presunta” lacuna determina un impiego di risorse atte a verificare e poi, eventualmente, ad eseguire la compensazione della presunta lacuna stessa. La compensazione consiste in un adeguamento delle proprie attivazioni e comportamenti e dell'interpretazione del relativo corollario di valori.

 

L'attività compensativa inizia quando l'individuo avverte una qualche alterazione emotiva intorno ad alcuni comportamenti (propri o altrui) e termina quando l'individuo ha vissuto un certo numero di variabili esperienziali  e  l'alterazione emotiva cessa di attivarsi. Comprendiamo che l'attività compensativa proviene dai bisogni primari sorgenti ma si colloca in quelli progettuali-proiettivi, in quanto si sviluppano e soddisfano in base a dinamiche relazionali proiettive tra persone. Le attività compensative (in quanto tali) appartengono a una condizione di modello elaborativamente completato; diversamente, nelle fasi di appropriazione del modello, fino al termine dell'adolescenza, l'individuo sta solamente agendo la propria integrazione. Quando il modello emotivo dell'individuo è già formato e adulto, le attività compensative rappresentano degli aggiustamenti evolutivi, ma non mutazioni radicali del modello stesso. Ricordiamo che l'attività proiettiva che si attiva nelle relazioni umane non rappresenta una condizione di anomalia, ma l'unica modalità possibile nell'interpretazione della realtà, con differenze specifiche nel livello di realismo.

Accade quindi che una lacuna di modello condiziona la vita reale della persona, definendo comportamenti e feedback che andranno ad attivare l'attività compensativa dell'individuo. L'attività compensativa si genera e si sviluppa in un sistema culturalmente definito; schemi comportamentali e stereotipi indicano alla persona le possibili strade da imboccare per attuare la compensazione. Proprio nella condizione culturale si insinua, purtroppo, una profonda ambiguità nell'identità individuale e in quella collettiva, dove troviamo un dislivello tra la soddisfazione interiore e la sua rappresentazione stereotipa spesso associata al successo di un comportamento. La soddisfazione interiore riguarda il completamento esperienziale, mentre la rappresentazione stereotipa riguarda il riconoscimento sociale/collettivo che si attua quando il valore delle azioni coinvolge la collettività. L'individuo sviluppa un bisogno sorgente interiore di compensazione; tuttavia, le dinamiche culturali, soprattutto quelle maggiormente strutturate, conducono a spostare l'orientamento dal bisogno sorgente a uno proiettivo. Il bisogno sorgente, per sua natura difficilmente identificabile, viene rifocalizzato in uno proiettivo del tipo “riconoscimento sociale” in quanto realtà oggettiva e collettivamente riconosciuta. Questo ri-orientamento che l'individuo attua, nella spinta del bisogno di lenire una sofferenza, viene inquadrato in un profilarsi di tipo morale, per cui vi è un discernimento positivo-negativo delle azioni, dei feedback e delle intenzioni correlate.

Questa interazione tra il bisogno proiettivo compensativo e l'oggettivazione culturale produce una  simbolizzazione, definendo contesto, problema e soluzione. Come è facile intuire,  l'individuo attua inconsapevolmente una simbolizzazione deviata e poco realistica della struttura della propria sofferenza. Ne risulta che l'attività compensativa concreta che viene a prodursi nasce in un profondo equivoco e, naturalmente, comporta il fallimento dell'attività compensativa stessa. In altre parole, i bisogni della persona si sdoppiano e si strutturano su due livelli: interiore e proiettivo, dove troviamo che l'interiore chiede adeguamento delle esperienze emotive (modello emotivo), mentre quello proiettivo si viene a strutturare simbolizzato culturalmente. In qualche modo, questi due livelli vengono a separarsi tra loro e, spesso, a entrare in conflitto di scopi ed effetti. Quindi, a sua volta,  la compensazione si svilupperà  su due livelli: quello sorgente, nell'adeguare le dinamiche emozionali nella riproduzione di modello, con l'integrazione emotiva attraverso esperienze vissute, e quello proiettivo, nel quale verrà focalizzata un'area di azioni  culturalmente  presunte funzionali, ma, purtroppo, non coerenti con il bisogno interiore di modello, se non addirittura contraddittorie rispetto alla compensazione richiesta.  [Vedi anche: moralecinetica e sviluppo del modello emotivo]

 

Concludendo, è necessario, anche per una possibile iniziativa terapeutica, portare a consapevolezza la distinzione tra il proprio bisogno sorgente di compensazione della lacuna di modello e i bisogni proiettivi che vengono focalizzati e che deviano lo sviluppo e il raggiungimento della compensazione stessa.

 

Nella terapia

 

Fondamentale nella terapia è far comprendere la differenza tra i bisogni proiettivi, legati appunto alla rappresentazione astratta e  proiettiva  di sé, e i bisogni che scaturiscono, invece, dalla soddisfazione reale dell'individuo. Una grande parte del lavoro sarà quindi concentrata sul far percepire i talenti e le passioni del paziente, non orientate però sulla consueta chiave proiettiva della  performance  e della seduttività della dimensione eroica, bensì sulle reali motivazioni e soddisfazioni inerenti al  modello emotivo individuale. Si andrà quindi a sperimentare una serie di aree di attività non legate al presunto e drammatizzato complesso patologico; se si restasse vincolati all'esplicitazione verbale del soggetto dei propri problemi, tale sperimentazione e arricchimento sarebbe impossibile. Si resterebbe ancorati, in modo subordinato al paziente stesso, al processo di intellettualizzazione e  drammatizzazione  della patologia stessa, dove possono avvenire due fenomeni legati al transfert-controtransfert: il compiacimento narcisistico del  terapeuta  per l'esattezza della diagnosi e del suo decorso, e il bisogno di attenzione focalizzato vittimisticamente dal paziente sul proprio problema che intesse la dipendenza (patologica?) con il proprio terapeuta. Questo processo è simile a quello per cui alcuni figli attirano l'attenzione dei propri genitori solo mediante la manifestazione del proprio disagio e della propria sofferenza. Non approfondiremo in questa sede il legame tra la dipendenza da una qualsiasi fonte, relazionale o meno, e il motivo per cui certe terapie non giungono mai a una conclusione e a una separazione serene e mature. L'individuo, attraverso uno sviluppo esperienziale  della sua relazionalità, nell'ottica di sperimentare le proprie reali abilità, senza la pressione della performance, de-focalizzerà spontaneamente la propria attenzione intorno al complesso patologico.

Attraverso l'integrazione di nuove esperienze, infatti, il paziente dismetterà la patologia perché essa non rappresenterà più la propria definizione e autovalutazione di sé, ma diverrà un aspetto secondario rispetto alla presa di coscienza della realtà della propria vita e delle proprie possibilità. È importante sottolineare il fatto che gli esercizi relazionali proposti dal terapeuta non sono attingibili da una griglia o da uno schema, poiché sono strettamente individuali; ogni paziente ha infatti delle aree lacunose e delle aree dove invece è possibile implementare la sua efficacia. Sarà il terapeuta a comprendere quali sono le aree da sviluppare, attraverso un'attenta analisi dei segnali metacomunicativi del paziente, integrando, al contempo, la visione stessa del paziente di sé come entità fisica oltre che cognitiva, mediante uno studio sul corpo, sul volto, sulla voce e sulle proprie cinetiche della fisicità. Ecco che la percezione di sé del paziente muterà, anche se non in modo cognitivo, bensì emotivo e relazionale. Insistiamo particolarmente sull'aspetto relazionale e metacomunicativo in quanto il paziente, quando si esprime verbalmente, non fa altro che rappresentare le proprie visioni proiettive, più o meno deviate rispetto alla realtà; esse hanno l'intento di conservazione delle dinamiche emotive del paziente stesso, e di conseguenza egli vuole convincere anche il terapeuta, indicandogli il posto “sbagliato” dove andare a guardare. Dobbiamo invece immaginare il terapeuta come una sorta di “radar”, che è in grado di scavalcare questo codice criptato inconsapevole del paziente, mediante l'analisi delle dinamiche seduttive e simboliche.

 

 

 

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