NON PSICOLOGICA
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Come nasce la visione (immagine) di Sé
L'immagine di Sé è una rappresentazione e/o un concetto marginale nella comprensione delle dinamiche interne, tuttavia ci interessa specificarne il contenuto poiché rappresenta la piattaforma su cui si snodano le scelte inconsapevoli dei nostri comportamenti. Con piattaforma intendo individuare quella struttura complessa sulla cui estensione percepiamo il nostro valore. Questa struttura contiene (come derivato della esperienza vissuta) gli schemi di presupposto che indurranno le nostre scelte. Per fare un esempio, se vivo la mia immagine come un uomo brutto, nella quotidianità del mio comportamento mi auto-precluderò di corteggiare donne belle. L'immagine di Sé non coincide con l'immagine che ciascuno cerca di darsi a livello sociale, ma si colloca al di sotto di essa e ne è il motore di produzione. Frequentemente, le lacune esperienziali e/o di Modello Emozionale dell'individuo, impediscono concretamente lo sviluppo di alcune aree della personalità.
La visione di sé risulta quindi prodotta sulla base di un sistema articolato che vede il bisogno di misurare il proprio grado di “normalità”, dove, nell'assunto del dubbio di essere come gli altri, l'individuo inizia a confrontarsi e a valutarsi. L'assunto dubbio di non essere 'normali' è inconsapevole e ciascuno non si accorge di produrlo, tuttavia ad una osservazione attenta dei comportamenti balza all'occhio quanti atteggiamenti abbiamo con lo specifico scopo di confrontare le nostre azioni o i pensieri per ricavarne una valutazione che ci rassicuri. Questo continuo dubbio viene generato dalla negatorietà familiare associata ai continui atteggiamenti di difesa che ne scaturiscono. Quando in una famiglia il trend comportamentale è di tipo difensivo, ergo vittimista, i figli crescono in una atmosfera dove il proprio essere minacciati è alla base della comprensione dei comportamenti altrui. Ne risulta che i comportamenti di difesa sono strutturati per generare una barriera protettiva dalla minaccia, che come effetto finale percepito, generano la negazione dell'identità minacciante. Detto in parole povere, la mia mente figura un “non voglio che... qualcosa”. In moltissime esperienze di dialogo, o colloqui di lavoro di vario genere, ho rilevato che le persone focalizzano con facilità cosa NON vogliono, mente hanno grandi difficoltà a focalizzare i propri obiettivi. In alcune parti di Master, fatti in collaborazione con varie università, addirittura il 100% degli italiani a cui veniva chiesto di raccontare le proprie doti, finivano rapidamente col parlare dei propri problemi (materiale documentato filmato). Siamo davanti ad un assetto socialmente molto condiviso e pertanto, paradossalmente normale. Questa auto-valutazione (comunemente e abusivamente anche definita autostima) viene attuata in chiave astratta e impersonale. Il soggetto non riesce a focalizzare che il suo sentirsi inadeguato e in difficoltà è alla base delle sue scelte di comportamento e di pensiero. L'effetto macroscopico che questo dinamismo produce è la generazione di una visione di sé che si costruisce proprio in funzione della percezione e della misurazione della propria normalità (e adeguatezza). Accade quindi che questa immagine costruita risulta funzionale e motivante a compensare le presunte lacune stesse. Dobbiamo però ricordare che queste lacune sono proiettive e/o simboliche e pertanto, non reali. A seguito di questo dinamismo, l'individuo attua una serie di proiezioni e segnali di comunicazione verso l'esterno, alcune consapevoli, alcune inconsapevoli altre addirittura somatiche, ma soprattutto comunicazioni automatiche. Queste proiezioni/comunicazioni, come sappiamo associate ai comportamenti modellano interattivamente la relazione con l'entourage. L'attività relazionale conseguente genera i dinamismi di antipatia/empatia/simpatia, comprensione/incomprensione, avvicinamenti/distanze, in un quadro in cui spesso non si comprende il perché di determinate reazioni. Questi complessi sistemi definiscono gli equilibri nelle relazioni individuali all'interno dell'entourage e vengono a ripetersi e consolidarsi nel tempo, divenendo una condizione stabile nella percezione/aspettative dei rapporti, sulla base della quale l'individuo struttura la propria misurazione di sé (autostima). Riassumendo, possiamo dire che la valutazione di sé nasce dall'addestramento negatorio alla propria inadeguatezza e induce l'individuo a selezionare e filtrare le proprie relazioni interpersonali, adattando/condizionando inconsapevolmente l'entourage alla propria rappresentazione di sé. Un assetto circolare che stabilizza e conferma le proprie sensazioni soprattutto quando sono negative.
Questa condizione è stabilizzante anche quando è configurata nella dimensione del disagio e della conflittualità, si sedimenta come esperienza e si consolida nel tempo; diviene consuetudine e viene percepita come “normale”. Un circolo autoreferenziale tra l'emissione dei segnali della rappresentazione proiettiva del soggetto e le abitudini relazionali con l'entourage. Nel momento in cui l'individuo evolve, e muta la propria visione, l'entourage si trova davanti a una persona diversa che stenta a riconoscere e di cui non comprende più gli atteggiamenti. Questo avviene perché vengono emessi dei segnali comunicativi differenti che disorientano le aspettative delle persone dell'entourage e rimettono in gioco una nuova necessità di reimpostare il rapporto.
Se, per fare una riflessione interessante (anche se non conclusiva), vogliamo fare una valutazione della nostra situazione familiare, possiamo applicare il principio della ingegneria inversa, ossia in base a quanto sono attivi questi aspetti, ricaviamo quanta interdipendenza costrittiva c'è. Questo gioco ci darà una valida indicazione sui processi inconsapevoli su cui spostare la nostra attenzione e riflettere. Una indagine profonda e concreta su una grande quantità di cose che accadono e che riteniamo normali, ma non lo sono. Apriremo una finestra su un panorama nuovo le cui opportunità sono grandi e danno molte risposte.
Per fare un esempio, se i miei figli (secondo e terzo geniti) hanno delle forme di reazione, ribellione attiva o forme passive di inefficienza o difficoltà, significa che la componente apprensiva è forte ed è stata convogliata nel fornire loro attenzioni negative rinforzando il loro assetto discostante dal comportamento che avremmo voluto. Abbiamo da stare attenti a non creare una nuova moralizzazione colpevolizzante che ci induca a pensare di aver sbagliato, in quanto, spesso sono i figli stessi a manipolare e condizionare i genitori con processi vittimistici. Dobbiamo ricordare che il dinamismo bimbo piange - mamma accorre è molto funzionale e vede il genitore essere preda della manipolazione ingenua e sperimentale dei figli. Inoltre come già compreso nel capitolo sulla cultura, il vittimismo è il modello funzionale che per primo viene inoculato al bambino non solo dai genitori stessi ma dalla comunità nel suo complesso.
Sviluppando la capacità di notare e comprendere questi meccanismi, ricaviamo che spostando il tipo di impostazioni del nostro comportamento nel rapporto, ossia cambiando cosa per noi è importante e i comportamenti correlati, riusciremo anche a cambiare il tipo di comportamento dei nostri figli.
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