NON PSICOLOGICA
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La comunicazione
In questo capitolo, iniziamo a guardare l'area che è, da tutti i punti di vista, il vero, unico e assoluto binario del senso e delle funzionalità della nostra mente. Se da un lato nella struttura del Modello Emozionale e funzionalità primarie sono nate con lo scopo della sopravvivenza/adattamento, per l'essere umano queste condizioni si sono profondamente modificate. Se originariamente nell'animale si sono sviluppate principalmente capacità adattive, l'essere umano è andato molto oltre questa naturale funzionalità biologica. Potenziando delle capacità che non sono solo direttamente adattive, l'essere umano sviluppa la propria evoluzione (cognitiva, comportamentale, culturale) senza che essa sia necessariamente subordinata al principio di autoconservazione. Provocatoriamente, possiamo sostenere che nessun altro animale attua meccanismi e dinamiche di autosabotaggio e di autodistruzione come invece è in grado di fare l'uomo. Di fatto, possiamo osservare che nell'uomo tutte le funzionalità sono confluite e sviluppate nella funzionalità della relazionalità, quindi, nella comunicazione. Fin da prima della nascita, il genitore umano inizia a focalizzare aspettative e a definire, in qualche modo, un futuro per il bambino nascituro; pertanto, le funzionalità relazionali vengono già attivate nella direzione comunicativa di intenzioni e comportamenti che mutano profondamente la dinamica del trasferimento del Modello Emozionale da elementare-primario-adattivo a strutturato-comunicativo-rappresentativo.
Il Modello Emozionale si è generato nei milioni di anni con lo scopo di fornire al singolo la capacità di adattamento ambientale, un'adattività che vede il flusso di informazioni sensoriali produrre l'identità, in un sistema continuativo di azioni, percezioni ed elaborazioni. Per l'uomo, invece, questo flusso è di fatto interrotto: la sensorialità è parzialmente dismessa e non funge da elemento di verifica, la percezione è prevalentemente astratta e proiettiva, l'identità, quindi, si forma su una base presunta e non verificata. L'individuo percepisce se stesso in una catena di elementi, comportamenti, simboli che ne rappresentano (ma non sono) il senso e il valore. Dobbiamo ricordare che la rappresentazione di sé si oppone al processo adattivo, in quanto genera dinamiche proiettive volte a cambiare la realtà e non a integrarla/evolverla. Di conseguenza a questa mutazione di funzionalità, l'essere umano veicola in continuazione i propri flussi nella direzione di elaborazione e sviluppo come comunicazione/comunicati. Come è noto, la comunicazione è attuata su due livelli: quello verbale (cognitivo) e quello non verbale (inconsapevole o meta-comunicazione). Possiamo parallelamente definire queste due zone con i rispettivi correlati contenuti di intenzione: la comunicazione verbale, arricchita di intenzioni consapevoli, diviene un flusso comunicativo composto e rapresentativo (comunque esplicito), mentre la comunicazione non verbale, contenendo un parallelo e distinto flusso intenzionale, spesso non coerente con quello consapevole, diviene la parte di comunicazione inconsapevole e implicita.
Comunicazione esplicita e implicita
Come espresso nella sezione che tratta del doppio livello dell'intenzionalità, la comunicazione umana è assai articolata. Nella comunicazione verbale, l'individuo agisce delle forme riconoscibili e apparentemente oggettive di contenuti che sono consapevoli. Questi contenuti scaturiscono e vengono comunicati secondo l'ampiezza dell'orizzonte culturale dell'individuo. A sua volta, l'ampiezza dell'orizzonte culturale individuale viene influenzato e determinato dal Modello Emozionale e dalla conseguente esperienzialità (identità). Quando in un dato Modello Emozionale è presente una certa lacuna, l'individuo verrà condizionato su tutti i livelli del proprio sviluppo, determinando intorno a quella lacuna un particolare panorama emozionale, comportamentale, somatico, culturale e comunicativo. In questo quadro, la persona agisce la comunicazione verbale come esito di un'identità, della quale essa focalizza il pensiero e genera le parole. Stiamo quindi intuendo che la corretta sequenza della comunicazione esplicita è: percezione della situazione – formulazione di un pensiero/intenzione – formulazione del contenuto verbale. È interessante osservare che ogni intenzione (anche conpresente) produce una notevole quantità di fattori comunicativi. L'intenzione è la parte meno direttamente comunicabile, in quanto spesso è sintesi e scopo del panorama consapevole della persona. Perché spesso non si riesce a esplicitare l'intenzione? Innanzitutto, essa frequentemente è frutto di un processo automatico, cognitivamente poco identificato; in molti altri casi, l'intenzione è un contenuto fragile e palese ma che non può essere espresso nella sua diretta sintesi, in quanto assoggettato a fenomeni come la credibilità, la competizione, il potere, l'autorevolezza, la gerarchia, la sofferenza. Possiamo affermare che l'intenzione, nella comunicazione esplicita, è il binario che guida gli atteggiamenti comunicativi della persona.
Cosa succede quando l'individuo non è in uno stato emotivo sereno nel proprio modo di percepire la realtà e di comunicare? L'alterazione emotiva attiva, nell'individuo, due possibili condizioni: l'aumento dell'emozione primaria della curiosità evolutiva oppure l'aumento dell'emozione primaria della paura. Nel primo caso, l'individuo, elevando il proprio livello di interesse, aumenta il livello della propria attenzione/aggressività e il flusso comunicativo diviene più assertivo e la comunicazione esplicita e implicita si manterranno coerenti tra loro. Nel secondo caso, l'individuo, condizionato dalla paura, sviluppa su livelli diversi la propria comunicazione, che, invece di divenire assertiva, diviene difensiva e persino conflittuale, in un quadro dove la propria percezione di essere sotto accusa/attacco rende incoerenti i due livelli comunicativi. Nel distinguere queste due condizioni dell'alterazione emotiva, le apparenze possono assumere modalità espressive molto simili, quasi identiche, ma nel secondo caso l'individuo, per quanto apparentemente assertivo, adotterà una serie di atteggiamenti giustificativi e di richieste di conferme rivolte all'esterno. Come è facile notare, l'individuo emotivamente attivo, non condizionato dalla paura, diviene assertivo, flessibile e relazionalmente disponibile; nel suo stato, anche di grande attività aggressiva, troviamo una notevole capacità di reggere il confronto e modulare il comportamento. Al contrario, l'individuo condizionato dalla paura tende a innescare forti conflittualità, estroflesse o introflesse, che impediscono qualsiasi flessibilità e generano una rappresentazione di sé come vittima e sovrastrutturano proiezioni morali anche fortemente distruttive. La presenza di paura nella relazionalità amplifica il divario tra i due livelli dell'intenzione nella comunicazione. Quando domina la paura, nella comunicazione esplicita l'individuo tende ad asserire le ragioni della sua posizione, ma in quella implicita si dichiara vittima impotente e svuota il senso intenzionale dell'assertività esplicita; la paura genera un senso di colpa generico, profondo, persistente e quasi sempre totalmente inconsapevole. Accade quindi che nella comunicazione implicita i contenuti espressi nel comportamento e le intenzioni inconsapevoli attuano, di fatto, una svalorizzazione dell'identità dell'individuo, della sua credibilità e della sua efficacia.
Nella comunicazione implicita, l'intenzionalità inconsapevole prodotta dalla paura esprime i livelli più profondi del modello emotivo, mentre, al contrario, l'intenzionalità inconsapevole prodotta dalla curiosità evolutiva non esprime alcuno schematismo del modello emotivo. Questa differenza diviene particolarmente rilevante nell'attività terapeutica, in quanto nelle dinamiche della paura risiedono gli orientamenti e le soluzioni nel guidare lo sviluppo esperienziale del soggetto e la conseguente integrazione delle lacune del proprio modello emotivo. A differenza di uno stato guidato dall'attrazione, negli ambiti di relazionalità guidati dalla paura troviamo grande ridondanza di comunicati. La persona che soffre comunica il proprio continuo mutare di affanni, proiezioni e stati d'animo e ne è obbligata; si genera quindi un circolo vizioso per cui difficilmente le sofferenze si attenuano e la percezione di sé si consolida in una sensazione di inefficacia e di impotenza. In questo processo dove la paura produce intenzioni e comportamenti inconsapevoli abbiamo il trasferirsi della paura tra gli interlocutori, in un sistema di rimbalzi dove il primo che la esprime condiziona l'altro nella stessa direzione. In altre parole, l'individuo che ha paura non se ne accorge e la induce nell'interlocutore, che risponderà sullo stesso livello. Possiamo rilevare che nell'ambiente familiare la dinamica della paura di sbagliare del genitore si traduce in regole e comportamenti rigidi, che ovviamente trasferiscono la paura nel figlio che, non potendo integrare una comprensione prospettica dell'atteggiamento genitoriale, attuerà un rifiuto delle regole imposte, a prescindere dal loro valore oggettivo, razionale e cognitivo. Le dinamiche della paura producono una spinta interiore verso l'asserzione per lenire la preoccupazione di non essere efficaci, ma contemporaneamente distorcono la percezione di sé e dei propri modi comunicativi, rendendo distorti anche i feedback ricevuti. La paura guida l'individuo verso una stabilità autoreferenziale della paura stessa, in quanto genera la sua stessa conferma attraverso l'obbligo dei feedback richiesti agli interlocutori.
Comunicazione e comportamenti
Nelle interazioni della relazionalità, siamo abituati a separare la comunicazione dai comportamenti, distinguendo la comunicazione come fenomeno di scambio tra gli individui e il comportamento come fenomeno individuale che appartiene all'attore dell'azione. Questa separazione è basata sul sistema della comunicazione esplicita, ma non considera, se non marginalmente, la comunicazione indiretta. Di fatto, la presenza di due persone rende impossibile la non considerazione reciproca, mettendo i due soggetti in relazione tra loro, anche se in uno stato di anteprima, non concretizzato in comunicazioni esplicite. L'individuo entra quindi in uno stato comunicativo ogni qualvolta percepisce la presenza. Questa condizione attiva molte funzionalità delle dinamiche emotive del modello emotivo, predisponendo l'individuo a un dato tipo di posture previste dal modello stesso. I dinamismi che scaturiscono al sorgere delle condizioni di relazionalità, anche solo ipotetica, si configurano e settano secondo gli schemi dell'esperienza del Sé identitario, che determinano l'atteggiamento pre-comunicativo, il quale pone immediatamente in luce quale stato emozionale è dominante in quel momento e come l'interlocutore può reagire nell'imminente relazionalità. In altre parole, l'espressività assunta per prima condiziona l'espressività dell'interlocutore e i relativi stati emozionali successivi. Questa condizione, raramente attuata a livello consapevole, è il vero binario su cui i due interlocutori guideranno inconsapevolmente la relazione, qualsiasi essa sia. I fattori espressivi che vengono agiti, come abbiamo visto, appartengono allo schema “percezione-emozione-comportamento”, sulla base del quale viene a svilupparsi l'attività proiettiva, attraverso la quale i due interlocutori si interpretano. Risulta evidente che le dinamiche emotive determinano tutti quei segnali che l'individuo coglie, anche se tali segnali non sono rivolti a lui. Pertanto, possiamo dire che le attività comportamentali sono obiettivamente dinamismi comunicativi, con correlati sistemi intenzionali, stereotipi e rappresentazioni.
Simboli e comunicazione
Come abbiamo compreso, la realtà della comunicazione è un fenomeno assai esteso, che implica moltissimi fattori, la maggior parte dei quali sommersi e inconsapevoli. Alcuni fattori della comunicazione assumono un valore particolare, in quanto portatori di intenzioni funzionali. Come abbiamo visto trattando dei simboli, la comunicazione implicita utilizza frequentemente rappresentazioni comportamentali, stereotipi e intenzioni focalizzati nell'attivare specifiche dinamiche relazionali, sia legate alla soddisfazione “positiva”, sia a quella del bisogno di riprodurre dinamiche di sofferenza. In altre parole, i bisogni emergono attraverso l'espressione di comportamenti simbolici, che, in quanto tali, attivano reazioni emotive dirette e posture specifiche. L'individuo ha, nella propria identità, precise mappe degli schemi azione-reazione nei rapporti con le persone ed esperienza percettiva sufficiente per focalizzare la propria comunicazione implicita verso soggetti adatti al conseguimento dell'intenzionalità. Accade quindi che l'esperienza identitaria è un valido supporto all'espressione dei bisogni profondi dell'individuo e alla riproduzione delle dinamiche comportamentali del proprio modello emotivo. Pertanto, l'attore di tale comunicazione simbolica è ragionevolmente (per quanto inconsapevolmente) certo del risultato che otterrà. Quando pensiamo alle dinamiche della comunicazione implicita e inconsapevole, non dobbiamo dimenticare che la funzionalità si esprime esattamente nel senso di riprodurre le dinamiche comportamentali e relazionali note all'individuo che le attua, a prescindere dal loro contenuto di soddisfazione, anche di tipo patologico e sofferente. I simboli della comunicazione implicita sono spesso espressi in micro-gestualità e piccole intenzioni stereotipe; per questo spesso sfuggono ad un'osservazione macroscopica: essi sono dinamismi perfettamente mimetizzati nella comunicazione non consapevole e, spesso, addirittura automatici. Riassumendo, nella comunicazione inconsapevole molte posture, molti atteggiamenti, molte gestualità sono e vengono agite in un dinamismo di tipo simbolico, che attiva nell'interlocutore un dato tipo di stato emotivo e restituisce all'attore della comunicazione il preciso feedback che si aspettava.
Limiti culturali della comunicazione esplicita
Come è ormai noto, conoscere cognitivamente una sofferenza non significa automaticamente la sua risoluzione. Perché? Innanzitutto, dobbiamo ricordare che la parte cognitiva e razionale si attiva e si nutre solo in conseguenza a una specifica postura emozionale: i pensieri vengono sempre dopo l'attivazione emozionale. Questa importante sequenza che definisce l'attività proiettiva produce, in pratica, una separazione netta tra l'azione del Modello Emozionale, con le sue conseguenze, e l'attività di pensiero. Quest'ultima è solo l'esito di una catena di fenomeni emotivi e comunicativi inconsapevoli e, pertanto, a questi subordinata. Risulta intuitivo che l'attività di pensiero conseguente e subordinata a un dinamismo emozionale non può esercitare un controllo preventivo in quanto arriva sempre in ritardo. A quanto già esposto, bisogna integrare il fatto che la visione secondo la quale “sapere una cosa è un primo passo verso la soluzione”, purtroppo è uno stereotipo, un luogo comune del pensiero che ha già fornito ampie delusioni. Sovente, la definizione del problema rappresenta proprio lo scoglio che, di fatto, impedisce la comprensione consapevole dei processi che producono il problema stesso. Ricordiamo che l'evoluzione di una difficoltà o di una sofferenza passa attraverso esperienze emotivamente evolutive, e non attraverso esperienze cognitivamente evolutive. In altre parole, l'attività di arricchimento culturale purtroppo non produce una ricongiunzione tra la rappresentazione di sé e la propria identità emotiva di modello, semmai, frequentemente, contribuisce a sovrastrutturare modelli e comportamenti che implementano la condizione di sofferenza. Nell'ambito delle attività culturali che la persona agisce per comprendere se stessa avviene che, contrariamente all'intenzione, l'individuo attua un adattamento alla propria sofferenza, basato proprio sull'identificazione di spiegazioni che danno solamente un senso alla sofferenza stessa. Questa soluzione risulta, pertanto, solamente apparente, ma non produce l'intento risolutivo desiderato.
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