NON PSICOLOGICA
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Funzionalità emotive Dinamiche emozionali e schemi di comportamenti
Capita a tutti di notare come alcune persone hanno comportamenti ripetitivi, rituali oppure semplicemente forme di abitudini che vengono agite dalla persona pressoché automaticamente. Quando parliamo di schemi di comportamenti parliamo di strutture che sono simili ai comportamenti ripetitivi ma riguardano qualcosa di più interno, sono le sequenze emotive originarie o dinamiche emotive. Userò questo concetto perché più aderente al contenuto che analizzeremo e perché esse sono l'origine del comportamento in generale. Abbiamo già compreso come si strutturano e come si attivano nel capitolo sul “Il modello emotivo”. In questo, andremo a vedere come queste funzioni primarie generano interazione nella realtà del comportamento delle persone. Per comprendere la reale portata di questi fenomeni descriverò un caso tra tanti e poi ne seguirà una analisi funzionale.
Caso di Gianna
Non entrerò in dettagli del suo lavoro per questioni di privacy ma soprattutto perché sarebbero ancor più enfatizzanti e siccome ci interessano i fatti di dettaglio, tralascerò di includere molti fattori importanti per il suo caso. Gianna, 30 anni opera nell'ambito medico in un ospedale. Viene da noi per una grave balbuzie che la penalizza molto. Durante le riunioni e nei briefing settimanali lei non riesce a proferir parola senza bloccarsi e andare in stato di panico. Inutile dire che prima di approdare a noi aveva tentato diverse altre strade, ma questo non importa. Il suo temperamento, piuttosto volitivo, la spingeva verso una certa intransigenza e severità verso se stessa e il suo problema.
I tratti interessanti sono: la sua intransigenza, la volitività, la balbuzie, la vergogna, la determinazione.
Di per sé queste singole specifiche non rappresentano nulla di speciale, anzi, per molti questi tratti sono addirittura positivi. Non sono certo negativi ovviamente, ma come comprenderemo non tutti gli ottimi ingredienti singoli di un cocktail una volta dosati e mescolati danno un buon sapore.
L'attività di esposizione davanti ai colleghi le dava una forte apprensione, le sue emozioni primarie andavano alle stelle. Lei si accorgeva di questo naturalmente, ma quanto più cercava di rafforzare il proprio autocontrollo, tanto più nel tempo questo problema era cresciuto. Le attività cognitive rivolte a trovare spiegazioni e strategie erano state abbondanti, ma alla fine ne aveva ricavato solo grande confusione. Questo stato la poneva in grande difficoltà poiché per il suo lavoro, non avere questo autocontrollo era una penalizzazione troppo forte.
In dettaglio durante gli esercizi che abbiamo svolto e filmato osservammo che la sua apprensione si attivava anche davanti a una stanza vuota. Quando nel suo immaginario si pensava davanti ad altri e di dover raccontare qualcosa, anche di elementare e/o futile, attivava i propri inibitori e balbettava pesantemente. In altre parole la sua predisposizione all'apprensione si attivava secondo parametri irreali. Da un punto di vista pratico, osservammo alcuni aspetti della comunicazione, che considereremo come comportamento in quanto parti delle sue azioni che inconsapevolmente metteva in atto. La più macroscopica delle evidenze era il continuo sorriso, anche se non aveva nessuno a cui rivolgerlo e nulla di cui sorridere. I movimenti del suo corpo, mostravano assenza di naturalezza e spontaneità. Quando iniziava a parlare esprimeva dei tentativi di assertività che si intercalavano a sguardi di ricerca di approvazione, in sincronia con sorrisi di auto-conferma. Dopo pochi istanti la parola iniziava vacillare e iniziava il balbettio (con sguardo fisso) con la notoria postura facciale e fisica: la testa si protraeva in avanti e oscillava. Passata la breve crisi ripartiva e poco dopo ancora e così via. Quali sono i dinamismi emotivi che si erano attivati? Per rispondere a questa domanda dobbiamo richiamare il dinamismo proiettivo del capitolo sopra: lei proiettava di essere sotto esame/giudizio ed entrava in stato di soggezione. Soggezione verso chi o cosa? Soggezione prodotta per sua postura di sentirsi sotto esame, ma soprattutto sentirsi inadeguata, inabile, non brava e non apprezzata (durante gli esercizi non aveva davanti a sé alcuna persona). La spinta della soggezione la induceva a tentare di dimostrare di valere e in certi momenti infatti tentava atteggiamenti assertivi che poi, degeneravano come descritto sopra. Siamo davanti ad una terzina di comportamenti che si alternavano. L'apprensione immotivata attivava una immagine interiore di sé come inadeguata, ne conseguiva il tentativo di compensare questa sgradevole sensazione, la sensazione di inadeguatezza però cresceva e l'apprensione, salita alle stelle, interrompeva le facoltà di parola (balbuzie), poi si ristabiliva in uno pseudo equilibrio fino alla attivazione successiva.
Ma cosa stabiliva l'automatismo della visione di sé come inadeguata? Per capire questo assetto precostituito dobbiamo guardare il modello emozionale della sua famiglia. La madre è una donna dal forte temperamento e volontà. Così forte perché (secondo gli stereotipi della mentalità comune) ha dovuto crescere due figli da sola, il marito la tradiva e si è separata. Il primo dei due figli è un maschio e la seconda è Gianna. Il più grande è il figlio perfetto, bravo a scuola, bravo in tutto, ubbidiente e capace. La seconda invece, difficoltà su tutti i fronti, brava a scuola, impegnata ma lenta, mai pronta, mai autosufficiente e con difficoltà diffuse. Dalle descrizioni emerge una madre sempre in affanno, in ritardo per qualcosa, sempre sulla soglia dell'ira. Non servono altre descrizioni per focalizzare due cose: La prima che la madre aveva forti dinamiche apprensive proprie, la seconda, che la figlia Gianna le ha vissute, assorbite e riprodotte orientate contro di sé per effetto dei comportamenti materni. Fin qui, parrebbe che la bravura del primogenito porti a pensare che Gianna aveva le proprie difficoltà per semplice sfortuna. Non è così. Quando pensiamo ai dinamismi di rapporto tra fratelli, dobbiamo ricordare che in base ai comportamenti genitoriali abbiamo più o meno in atto dinamiche competitive e gelosie. Queste attività relazionali si esprimono principalmente non solo in gelosie, ma in complesse strategie con sui sottrarre ai fratelli le attenzioni dei genitori e/o uscire dal raggio del loro radar, oppure ancora ottenere vantaggi di ogni genere. Detto questo, tornando a Gianna, il fratello avendo una mamma intransigente non poteva fare altro che essere efficiente ( primo genito = nessuna strategia alternativa di sopravvivenza) e in questo modo, essendo perfetto e plasmato sulle esigenze materne, otteneva tutti i favori e le attenzioni. La secondo genita invece, essendo più piccola, quali possibilità aveva di competere col più grande e perfetto fratello? Una volta esaurite le priorità nel ricevere attenzioni dalla mamma associate ai primi anni di neonata e successivamente di bambina, il peso del fratello si faceva sentire nelle performance generali. La madre iniziò a metterli a confronto e per gradi, ad avere atteggiamenti di insofferenza verso Gianna, con frasi tipo “muoviti, ho fretta!” e “non ho tempo per queste cose!“ dove l'atteggiamento generale era di darle molto peso e molte attenzioni, ma in senso sconfermante (attenzioni negative), nel farle notare che il suo comportamento era inadeguato, lento e inefficiente. Saremmo portati a pensare che Gianna soffrisse e forse era effettivamente così. Tuttavia non si pensa (non è noto ai più), che la realtà vissuta da bambini non assomiglia affatto a come la pensiamo e rappresentiamo noi adulti, i bambini interpretano gli eventi senza la definizione adulta della sofferenza e del bene/male (se non perché associata dai familiari). Per loro vale la consuetudine, presa com'è senza distinzione.
Osservando attentamente senza proiettare la nostra visione adulta, i bambini vivono e percepiscono le cose da un punto di vista prettamente funzionale, compreso il senso del dolore e della sofferenza. Per loro (che non hanno esperienze con cui interpretare) ogni comportamento è neutro, privo di perché e lo assumono in base a quanto funziona nell'identificare, imparare, raggiungere degli scopi. Se il genitore applica l'idea della sofferenza ad un comportamento specifico, il bambino lo ripete e ne associa valori e funzione. Ad esempio se, quando un bambino cade, la mamma non va in allarme e ride serenamente (senza scherno ovviamente), il bambino dopo un paio di volte, associa questa sequenza e quando cade ride anche lui. Questo accade anche in presenza di sbucciature e ferite lievi. Nel caso in cui l'urto sia consistente, il bambino resta interdetto, ma non piange (queste cose le ho vissute in prima persona con bambini di famiglie di amici). Pertanto comprendiamo che Gianna non ha interpretato i comportamenti della mamma come legati al dolore, ma come attenzioni che riceveva, in una modalità che non poteva collocare come negativa in quanto era la sua consuetudine, il comportamento normale della mamma. Nel tempo queste sequenze divenute certezze del comportamento materno si sono associate e consolidate come un vera e propria strategia inconsapevole attraverso la quale riceveva la propria dose di attenzioni (teorie del rinforzo positivo o negativo di Burrhus Skinner 1904-1990 e prima di Edward Lee Thorndike e le teorie associazioniste di Pavlov). Arrivare alla età adulta in un certo contesto, genera il consolidarsi degli schemi familiari in modalità di comportamenti che a vederli dall'esterno parrebbero assurdi. Chi li vive, come Gianna, non ne comprende la struttura ed entra in un conflitto interiore, nel quale non capisce come mai il suo corpo non risponde alle volontà. Gianna nel continuo tentativo di correggere il problema, ottenendo feedback negativi, rafforzava il problema stesso sostanziandone l'efficacia: sono inadeguata, cerco di comportarmi meglio, fallisco, quindi sono inadeguata (proiezione). Le sue sequenze emotive si sono rinforzate nel tempo per effetto dell'assetto emozionale pre-formato e la conseguenza di essere inadeguata.
Ma cosa hanno in comune le apprensioni per inadeguatezza della figlia con gli schemi materni? Potremmo dire tutto. Per comprenderlo dovremmo chiederci, che cosa spinge una donna/madre ad essere in allarme? Esattamente la stessa sensazione di essere inadeguata e incapace, sostanziata dalla propria proiezione dei propri presunti fallimenti. In altre parole le dinamiche emotive inconsapevoli della madre si sono trasferite nella figlia, la quale, le ha sviluppate ed espresse in modo diverso ma non diverse nella struttura d'origine. La madre si è trovata ad attivare questi propri schemi nel proiettare la sua incapacità sul comportamento inadeguato della figlia, la figlia, non avendo ancora figli, proiettava la sua presunta incapacità sulle proprie performance/comportamento (focalizzate però dalla madre come metro di confronto col fratello). Così come la madre era in continua 'performance' perché doveva dimostrare che ce l'avrebbe fatta ad essere una bava madre anche se il matrimonio era fallito e lei di conseguenza lo era come donna, la figlia ripeteva le stesse condizioni. Essa stava attuando una serie di pratiche nell'obiettivo di mostrare il proprio valore. Un circolo vizioso senza via di uscita, perché la collettività, la cultura italiana e di conseguenza le persone, non riconoscono i meccanismi apprensivi come importanti (solo ipocritamente a parole). In varie maniere quindi per Gianna era consuetudine sentirsi inabile e in difficoltà perché era lo stato normale della madre. Per contro non c'era un esperienza diretta di diverso orientamento a cui attingere: insomma una strada a senso unico e un vicolo cieco.
A quanto già compreso, va aggiunto il fattore culturale che, come avete letto nell'apposito capitolo, legittima tutti, proprio tutti gli stati vittimistici, conferendo alla sofferenza una aura di giustizia e normalità. Può un individuo da solo riconoscere questa complessità? Ovviamente no. Qualcuno penserà che se si fosse fatta aiutare da qualche psico-tecnico avrebbe potuto arrivare a delle soluzioni. La realtà è che nessun psico-tecnico è riuscito a suggerirle una svolta, in quanto ne ha affrontati diversi e di diverse categorie senza alcun successo. Altri casi di problemi di balbuzie vengono affrontati con mezzi mediamente inadeguati che al massimo ottengono qualche miglioramento, ma mai il controllo e la consapevolezza sul piano emotivo originario. Focalizzando il 'problema' Gianna era indotta a mantenere il focus sulle sue performance e non sulla struttura emotiva che le generava. Comprese presto come si muovessero le sue proiezioni, ma non ne collocava il senso, perché si attivassero così, in quelle condizioni e con quegli specifici comportamenti. La svolta iniziò quando nel compiere decine di esercizi iniziò a focalizzare obiettivi diversi, a connettere ciò che sentiva con quello che faceva. Imparò a gestirsi quando comprese che la proiezione del giudizio altrui era connessa con gli schemi materni e soprattutto non erano negativi ma l'unico 'linguaggio' che aveva. Sviluppando una esperienza emotiva propria diretta e focalizzando un diverso uso della propria proattività/aggressività, imparò a bypassare la questione nel suo insieme e la balbuzie si ridusse quasi a zero anche sotto forti pressioni in circa un anno.
Il caso di Franco e Luca e mamma Luisa
Il primo genito 27 anni, è un gran bravo ragazzo, perfetto negli studi e nel lavoro, ha una fidanzata ed è sereno.
Il secondo genito Luca 24 anni ha lacune su tutti i fronti: dislessia, discalculia, rigidità mentale e soprattutto fisica, cammina come imbalsamato ed è inespressivo, incapace di esternare forme di empatia o simpatia.
Franco, terzo genito a 21 anni, episodi psicotici maniacali (certificato secondo il DSM-5) e uso assiduo di stupefacenti; è il secondo genito di tre figli maschi. Parla 3 lingue fluentemente e ha girato il mondo.
La madre Luisa è una ex insegnante, poi bibliotecaria, soggetta a depressione maggiore, curata per anni con psicofarmaci, psicoterapie svolte ma nel complesso inefficaci. Il padre ex sportivo dalle grandi prestazioni che con l'uscita dall'ambiente sportivo ha mostrato segni di depressione e poi psicosi dichiarata. Cure psichiatriche a profusione ma i disagi non sono evoluti. Tutt'ora in cura farmacologica. Approda per primo ai nostri percorsi Luca a 24 anni, per caso o per fama non lo saprei dire, con l'obiettivo di superare la enorme timidezza che lo affliggeva. Niente amici e ancor meno rapporti con le ragazze. Difficile dare un quadro semplice della sua condizione. Luca fatica molto a parlare, ancor più di sé e la sua espressività ne comunica l'enorme blocco interiore. Pallore, rigore e anaffettività sono i tratti comunicativi che il suo corpo emanava. Per farla breve, a fine percorso inizia una intensa vota sociale mediante un lavoro molto a contatto con le persone, in un ambito relativo allo spettacolo e divertimenti di vacanza. Nell'arco di un certo tempo relativamente breve, sviluppa molte attività di relazione con molti amici, viaggia molto e frequenta diverse ragazze a vario titolo.
A seguito di questo repentino e importante cambiamento, si avvicina ai nostri percorsi la madre, Luisa, che vuole e spera di poter essere aiutata. Una volta finita l'attività, si riequilibra, la depressione scompare e si attiva in una attività piccolo-imprenditoriale da sola e si trasferisce in un altra ragione serena e gratificata.
A seguito di ciò approda da noi anche Franco, dopo essere rientrato forzosamente dagli USA perché ha avuto problemi legali. Negli States si manteneva facendo il modello e lavoretti nel settore. La droga girava facilmente e lui ne usava volentieri, anche perché era una specie di codice sociale dell'ambiente. Un po' come un bicchiere di vino in veneto, una specie di ritualità di legame. Durante il percorso vediamo che da un lato egli performa esercizi e comprensione ottima degli argomenti, ma notiamo che la spontaneità è molto relativa, per non dire artificiale. Franco è sempre carico e pronto. L'unica sua lamentela o problema è che sta gradualmente perdendo i capelli e lo affanna il fatto che non potrà più fare il modello. Una volta finito con noi, vola oltre oceano e dopo qualche mese viene instradato nuovamente dalle autorità per droga ed episodi psicotici. Un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio) lo riporta duramente alla realtà e inizia a considerare seriamente il lavoro svolto con noi. Diversi altri incontri e approfondimenti lo portano a comprendere stavolta veramente il suo stato. Con fatica conclude il T.S.O. E inizia a focalizzarsi su di se. Torna all'estero e si crea ancora qualche crisi sporadica. In questo periodo abbiamo avuto un intenso rapporto via Whatsapp dove si ragionava e si analizzavano vari aspetti della condizione generale. Tornato in Italia resta a vive per qualche mese presso la madre in sud-Italia. In questa fase, comprende definitivamente il suo assetto. Lavora ed è sereno.
Ora spiegheremo come si erano generate e come si sono risolte queste complessità individuali.
Partiamo dalla madre, che come sappiamo inconsapevolmente è la prima portatrice/trasmettitrice del modello emozionale che i figli assorbiranno. I suoi schemi si attuavano secondo un assetto parecchio sacrificale e con un forte impianto moralista, malgrado le sue origini tirolesi che di per loro sarebbero più pragmatiche. Dalla adolescenza in poi era vissuta in Italia, con un certo adattamento di mentalità, assorbendo e consolidando le influenze peggiori del moralismo/vittimismo della nostra cultura, meccanismo in parte dovuto al suo essere straniera e sentirsi diversa. Erano gli anni sessanta del '900 e com'è noto erano anni di una intensa attività di revisione culturale e non erano scevri da forti dinamiche negatorie di discriminazione tra mentalità conformista e 'rivoluzionaria', che basava il valore collocato sul comportamento su una base marcatamente di sinistra politica, quindi assolutamente vittimistica. In seguito una volta divenuta insegnante, queste influenze furono ancor più forti (rispetto ad altre professioni più a contatto con la realtà) poiché l'ambiente di lavoro della scuola italiana è ben caratterizzato da invidia e faziosità con moltissima ideologia vittimista (retaggio degli anni '60 e '70). La relazione col marito premette e marcò ancor più definitamente gli aspetti di compensazione sulla propria identità individuale, sempre inadeguata, dell'assetto emozionale di Luisa, perché come sportivo competitivo iper-valutante e vittimista italiano, applicava in famiglia una modalità espressiva e comunicativa fondata sulla critica (per migliorare), sul giudizio e sulla prestazione. Le dinamiche comportamentali di Luisa erano quindi sostanziate e configurate da tre fattori: il proprio bagaglio di schemi rigidi tirolesi, l'italianità vittimista e sacrificale e le pressioni esercitate dal partner ancor più rigide e superficiali.
L'effetto sui figli. In una famiglia, queste condizioni di struttura che formano e generano schemi emotivi, nel loro modo di svilupparsi non generano molte variabili. Gli aspetti mentali del vittimismo e della apprensione, così come la negatorietà e la competitività sono generati da dinamiche primarie della paura, che tiene il soggetto in allarme presumendo una minaccia anche se di fatto non c'è. La risposta costruita dalla struttura cognitiva e dalle regole sociali definisce che i comportamenti siano per lo più difensivi o compensativi.
Quindi in questo esempio di famiglia le paure primarie si convertono in: DIFENSIVI : il vittimismo per gestire la propria inadeguatezza e moralismo per gestire il senso di colpa derivante, COMPENSATIVI : la competitività produce i tentativi di compensare le proprie lacune nel presupposto che trovare i difetti ne generi il superamento e la negatorietà compensa la sensazione di non valere, attraverso il continuo tentativo di affermare se stessi sugli altri(negando la tua idea affermo la mia, quindi valgo), oppure di ottenere attenzioni .
A guardare attentamente i comportamenti , nel nostro paese sarà difficile trovare delle persone e/o famiglie dove non ci siano questi forti schemi, la differenza sta nella quantità di difficoltà espressa dal proprio modello emozionale che genera la specificità dei comportamenti e delle consuetudini.
Quindi abbiamo che nel primogenito l'adattamento ad un sistema che si esprimeva pressoché linearmente, non ha generato alterazione del suo stato, niente conflitti. Questa condizione fortuita nasce anche dal fatto che la giovane età dei genitori e la loro prima prova genitoriale, li vedeva attenti, presenti e molto ben motivati. Le condizioni generali erano quindi di persone che si sentivano ed esprimevano un senso di realizzazione di sé. Tutte le componenti critiche che abbiamo citato non potevano emergere in quanto il mondo intorno a loro rispondeva secondo previsione. Bei ragazzi che mettevano su una famiglia felice. Il loro obiettivo era perfettamente condiviso, i loro sogni di futuro erano in piena via di realizzazione e la collettività era in ottimo equilibrio nella loro idea di vita futura. Questa atmosfera di apparente perfezione incontra comunque le difficoltà che tutti sappiamo, ma essendo così ben motivati, anche l'energia, la pazienza, l'elasticità mentale e la condizione di novità permettono alla coppia di affrontare anche forti sollecitazioni e rimanere ben coesi nell'intento genitoriale.
Ma quando arriva un secondo figlio, tutti questi equilibri sono messi alla prova. Il secondo genito, per quanto figlio desiderato effettivamente da entrambi (e sappiamo che non sempre è così) porta con sé una condizione che non è novità, anzi e se uno dei due partner non si è pienamente goduto della prima infanzia del primogenito, col secondo entra probabilmente in sofferenza. Per il terzogenito invece la maggioranza delle coppie lo vive con un diverso atteggiamento ancora, la madre sa bene cosa l'aspetta e il padre anche. In quest'ultimo caso si consolida la percezione della reciproca partecipazione effettiva, se il marito partecipa a pieno ritmo oppure se tende a defilarsi, con questa genitura si certifica la tendenza. Stessa cosa vale per le dinamiche emotive della madre perché non sempre una donna vuole fare il bis e il tris di figli, anche se razionalmente potrebbe non riuscire ad ammetterlo o riconoscerlo.
Nelle successive filiazioni si attivano anche piccole o grandi gelosie e ripetere il grande impegno della nuova maternità e paternità non vede entrambi i genitori sempre perfettamente allineati, spesso inizia in questa fase una rottura, magari lieve, dell'equilibrio motivazionale tra i due coniugi. Per citare un tizio che conobbi, disse: ”sai, ti sposi una ragazza fatta in un certo modo e con un certo carattere, poi arrivano i figli e ti trovi con una donna completamente diversa”. In questa battuta emerge che c'è un divenire e che questo diventa in qualche modo discostato dalle aspettative che gli sposi avevano. L'osservazione di questo tizio vale anche dal punto di vista della donna, che scopre che il marito che aveva e che con lei condivideva la maternità e il suo impegno, comincia ad esprimere un cambiamento, il cui attivarsi, per il maschio, è spesso legittimato ad esempio, dal dover aumentare il reddito o altri impegni oggettivabili e accettabili, ma di fatto a livello delle sensazioni, della presenza e dei sentimenti, anche il maschio cambia atteggiamento orientandosi ad un certo allontanamento. Naturalmente questi cambiamenti, per quanto possano definirsi normali, se avvengono in una famiglia con un bisogno maggiore di sicurezze, produrranno una maggiore destabilizzazione perché ognuno dei partner avverte l'allontanamento dell'altro come un fattore che provoca allarme e incertezza. Non importa chi effettivamente comincia o chi palesa questa mutazione, importa che questo avviene attraverso sfumature del comportamento impercettibili e inconsapevoli. I risultati dipendono dalla forza d'animo e autonomia emotiva dei partner. Più i partner sono interdipendenti, più sono probabili delle fratture e le ripercussioni. Ognuno dei partner entrerà per forza in uno stato di sospensione (una specie di apnea, di pazienza sopportata) e/o direttamente in una condizione di vittima in un contesto che in effetti non avrebbe voluto, ma che non ha osato esprimere. Tuttavia solo uno dei due lo esprimerà in forma esplicita e questo fattore è un altra area di indagini molto interessante e significativa. Il primo che esprime questa condizione (come vedremo nel capitolo specifico sui dinamismi vittima-carnefice), è colui che conduce e guida la relazione in generale. Chi invece, in qualche maniera, diviene il colpevole è colui che è guidato. Questo ultimo ruolo merita una certa riflessione poiché il presunto e apparente colpevole diviene tale per un intreccio di fattori. Esso è il portatore di una complessità di reazioni e comportamenti che nella stra-grande maggioranza dei casi è la parte emotivamente passiva. Il colpevole o carnefice, è colui che si oppone alle regole, diviene re-attivo ad uno status di cose di cui non è il fautore. Naturalmente re-agire allo status significa aver rifiutato una serie di accordi impliciti socialmente forti e valevoli, a prescindere da tutto e che nella famiglia si danno per automatici e assoluti come essere un/una buona partner, profondere amore, essere responsabili, devoti, sacrificarsi eccetera. I doveri di genitore sono gravosi se non li si vuole. Giustamente si è siglato un accordo, il matrimonio, con delle promesse e giuramenti vari e tutti si aspettano che queste promesse vengano rispettate, pena l'ostracizzazione come debosciati. Ma nella realtà i giuramenti e le promesse divengono qualcosa di un contesto in cui cambiano anche tutte le altre condizioni. Cambiano i caratteri degli sposi, il loro aspetto fisico, l'età l'attraenza e molto altro, mentre i giuramenti restano fissi e inamovibili. Ora, comprendiamo che nella realtà di contratti di altro genere, se cambia il contesto il contratto diventa nullo, mentre nel rapporto matrimoniale questo tipo di sistema si indurisce e decontestualizza. Un partner dentro di sé si dice: “si, mi sono impegnato con un ventenne dolce e amorevole, ora sono con un 45'enne sfatto e rabbioso”. L'altro partner si dice circa la stessa cosa, se non peggio perché magari è stufo di impegnarsi univocamente per i figli. La collettività giustamente invece esprime il proprio disinteresse per le questioni private in fatto di gusti e amore e invece pretende la responsabilità per le azioni intraprese col contratto matrimoniale visto che ci sono dei figli. Naturalmente qui non stiamo discutendo il valore morale ma la dinamica delle condizioni interiori di reazione che portano alla sensazione di essere vittime, di un sistema che ci ha deluso e che tanto o poco ci fa soffrire. Ci reagisce ed esprime il senso di rifiuto dello status diviene “il cattivo che non sta alle regole”. Da un punto di vista morale ed esteriore il carnefice è colpevole per i propri comportamenti, ma come vedremo in realtà sono indotti dalla proiezione applicata proprio dalla vittima, in quanto essa è colei/colui che ha stabilito nel rapporto di coppia implicitamente le pressioni alle quali il carnefice coi suoi comportamenti, cerca di sottrarsi, reagire, difendersi o vendicarsi. Nella coppia viene applicata espressamente una episteme (Platone - il sapere certo), basata anziché sul sapere o sulla scienza come rielaborava e definiva il Foucault, ma sulla presunta normalità dei comportamenti che si devono avere in una data situazione. Attraverso questo uso dei concetti di normalità le persone esercitano un potere esplicito, poiché, se non siamo normali allora c'è un problema. Il partner che subisce questa rete di obblighi impliciti, di cui le regole sociali sono lo spauracchio, svilupperà la sensazione di oppressione che nel tempo lo guiderà ad una catena di reazioni, che inizialmente sono semplicemente piccole irregolarità per poi svilupparsi a livello conflittuale. Dopo un certo tempo, qualche anno, il soggetto che proietta la propria oppressione nel rapporto coniugale inconsapevolmente attiverà delle pulsioni che lo spingeranno sempre più a distaccarsi, ad allontanarsi, a sottrarsi sia a livello interiore che esteriore nei comportamenti e diventando palesemente l'assente, lo scellerato, il cattivo, il colpevole di sottrarsi alle proprie responsabilità.
La reattività che abbiamo compreso tra i genitori nel loro rapporto si attiva analogamente nei figli, qual ora avvertano la frattura motivazionale genitoriale che trasmettendo una crescita delle attivazioni apprensive, nei figli genera una sensazione che fa loro individuare che qualcosa non va. Essi colgono il malumore e soprattutto la incoerenza tra le regole familiari/sociali, i propri bisogni di sviluppo/sperimentazione e bisogni indotti familiari come le richieste di attenzione. Queste incoerenze attivano il loro senso critico e in breve tempo le rappresentazioni etiche e morali dei genitori diventano poco credibili ai loro occhi. Quando un figlio vede che i genitori 'predicano bene ma razzolano male' si sente a sua volta vittima di falsità e ipocrisia e inizia a proiettarsi in difficoltà. In conseguenza a ciò, i ragazzi cercano risposte in modo significativo ma soprattutto in una postura ipercritica diventando a loro volta dei moralisti. Il senso di frustrazione trasmesso dai genitori diviene attivo in modo analogo nei figli, ma con altre rappresentazioni e proiezioni, determinando una lunga serie di comportamenti incoerenti e moralmente discutibili che poi il mondo adulto cataloga come 'ragazzate' ma in realtà contengono la ribellione avversa contro un mondo cattivo che non gli fornisce più il benessere che avevano prima, da bambini.
Tornando ai due ragazzi, Luca e Franco, assistiamo allo sviluppo che vede Luca sviluppare una super-morale, un assetto critico interiore che vede la moralizzazione sopra ogni cosa. Il pensiero si arrovella e la persona esprime e poi somatizza una forte rigidità. Si attivano il disinteresse per ogni cosa e una specie di depressione che potano a focalizzare come inutile qualsiasi cosa o pensiero. Luca, tuttavia non è in una depressione poiché la sua è una lotta di controllo sulle cose e sui sentimenti, cerca il dominio su quello stato di malessere che vorrebbe far scomparire. La nostra collettività culturale propone le distinzioni morali con cui interpretare ciò che accade, e Luca infatti, adotta gli strumenti offerti dalla morale per discriminare e scegliere ciò che è positivo e ciò che non lo è. Tuttavia, nel tempo, tutto viene identificato criticamente come non positivo, entrando così un un bunker interiore di difesa da tutto, poiché tutto contiene quella incoerenza e ipocrisia da cui cerca di difendersi. Nella adolescenza tutto il mondo adulto sembra incoerente e assurdo, il lavoro, il denaro, la vita adulta nel suo insieme. Quando un ragazzo/a, come Luca cresce in una atmosfera di tensioni sommerse (spesso neanche tanto sommerse), la rappresentazione della sofferenza assieme all'impossibilità di trovarne una soluzione, diviene una vera e propria postura interiore. In breve tempo anche il corpo inizia ad esprimere questo stato, questa volontà di rifiutare tutto, assumendo pose fisicamente rigide, dalla camminata impettita e lignea, col gesticolare secco minimale e marcatamente asimmetrico, al modo si parlare asciutto e monosillabe, con una espressività facciale pressoché assente. In una specie di sintesi Luca somatizza, in modo interiorizzato che automaticamente esclude la relazione con le persone e la comunità (introverso come il modello emotivo materno).
Diversamente da Luca, Franco orienta le proprie strutture di difficoltà in modo estroverso. Il suo disagio lo proietta a cercare all'esterno le soluzioni (estroverso come il modello emotivo paterno). La sua attività invece che appostarsi su un assetto analitico critico (di auto-inibizione), si proietta nel continuo cercare l'approvazione dagli altri attraverso continue performance di dimostrazione del proprio valore e abilità. Colleziona rapidamente successi, ma questi non gli danno alcuna soluzione funzionale al malessere interiore e la spinta a performare diviene inarrestabile e continua fino alla rottura. Più volte si impegna intensamente fino a sfinirsi e dare forfait. Il malessere interiore tuttavia non emerge solamente nel dinamismo performante delle richieste di attenzioni/approvazione esterne, ma anche nell'uso di stupefacenti, che per lui, non sono solo uno sballarsi, ma una ulteriore performance da attuare per sentire se stesso ed innescare socialità. Usare le droghe diviene rapidamente un fattore anche competitivo, nel fatto di averle provate tutte ed essere un esperto.
Potremmo dire che, come un bicchiere di vino viene assunto come simbolo della volontà di socializzare, con l'implicito senso di liberarsi dalle proprie inibizioni (fattore che accomuna questo tipo di codice comportamentale) anche le droghe divengono un codice che accomuna le persone con un analogo valore simbolico.
Luca Voleva superare i propri blocchi interiori, la timidezza e il malessere che lo affliggeva. Dopo averlo formato su come funziona la mente e quali trappole produce, dopo aver reso coscienza di come si esprimeva e soprattutto quali potenzialità aveva è stato addestrato a gestire gli stati interiori delle emozionalità primarie. Dopo questa attività per lui si è aperto l'universo delle relazioni umane vissute come parte di soddisfazione, ha cominciato gradualmente a crearsi amici, viaggiare, lavorare a contatto con molta gente e la sua vita, da solitario problematico è passata a una vita di intense attività sociali.
Franco Analogamente, anche se con maggiore tempo e difficoltà diverse, ha seguito lo stesso percorso. La formazione gli ha permesso di arrivare per gradi a comprendere la portata del suo 'performare' e i disguidi che gli producevano. La maggiore difficoltà è stata dovuta al fatto che la comunità valuta positivamente le performance, le prestazioni e perfino la competitività, inducendo continui equivoci che lo facevano ricadere nella contraddizione e nel loop autodistruttivo. Gradino dopo gradino, ha ricollegato i pezzi di un sistema, molto complesso ed evoluto i propri schemi comportamentali in una direzione completamente diversa.
Per concludere questa sequenza di esempi, abbiamo da ricordare al lettore che le anomalie del modello emozionale sono una condizione strutturale della formazione mentale. Pertanto le evoluzioni avvengono con un tempo relativamente breve ma con continui riaffiori delle spinte primarie distorte. Ci vuole molto tempo perché l'individuo riprogrammi completamente alcune parti della propria struttura emotiva, anni. L'evoluzione che nel breve periodo è straordinariamente vivace e sembra completa, avrà dei brevi momenti con la sensazione di instabilità e di allarme con la sensazione che non stia cambiando tutto come la persona pensava e si aspettava. Brevi fall-out si attivano e sono naturali, in quanto la complessità degli schemi emotivi si forma in circa 20 anni di vita, con una rete di attivazioni così complessa ed ampia che non può essere revisionata in un anno.
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