NON PSICOLOGICA

 

Sito di contenuti sul funzionamento

della mente umana

 

 

 

                            L' esperienza e la la ripetizione delle esperienze

 

Anzitutto, definiamo in che senso utilizziamo il termine “esperienza”. Essa va compresa come un insieme di porzioni di fatti e azioni connessi a specifici stati emotivi primari. Nella nostra mente, come nella trattazione sulla memoria, le informazioni riguardo le esperienze non vengono memorizzate nella precisa e dettagliata sequenza in cui avvengono, ma in una rappresentazione sintetica basata su un accoppiamento tra azione significativa e relativo stato emotivo (simbolo e relativa evocazione emozionale). Nell'esperienza psicologica, dobbiamo comprendere che la parte emozionale, storicamente sottovalutata, risulta determinante nello sviluppo della capacità di comprensione delle azioni: esperienza significa sintesi di attivazioni ed emozioni (associate). Possiamo quindi distinguere due aspetti dell'esperienza: esperienza elaborata ed esperienza non elaborata.

 

 

 

 

                                          

                                         L'esperienza non elaborata (istantanea)

 

Essa è il vissuto di una catena di azioni/eventi a cui la nostra mente associa un determinato stato emozionale primario. Questa attività, non essendo ancora stata codificata in un tipo di esperienzialità già articolata ed estesa come invece avviene per esperienze ripetute molte volte, nell'individuo si lega in modo univoco alle azioni/eventi, definendo un primo contenuto esperienziale approssimativo, che verrà memorizzato.

 

Questo contenuto è il frutto dell'elevata attenzione (arousal), più o meno drammatica, rispetto a ogni prima volta di un'esperienza. Esso (il risultato), se non verrà espanso in ulteriori esperienze collegate, rimarrà memorizzato ma non collocabile come esperienza funzionale elaborabile, perchè mancante di variabili. Caratteristica specifica dell'esperienza istantanea è il limite temporale, con attività emotiva univoca e limitata in un breve lasso di tempo, di azioni e di correlato stato emotivo. Il senso di questo nucleo di esperienza, non direttamente utilizzabile dalla nostra mente, è paragonabile a una “raccolta dati” non ancora estesa e strutturata in risposte valide e comportamenti validi verificati. Un'informazione parziale non offre ancora all'individuo un quadro completo in grado di dargli delle scelte di azione, un criterio morale di valutazione o un'esperienzialità emozionalmente completa o elaborata. Ogni singolo nucleo esperienziale diviene però la materia su cui si fonda la capacità interattiva conseguente. Il vissuto emotivo che viene associato al primo nucleo esperienziale, indurrà/produrrà la necessità di reiterazione dell'esperienza stessa o di esperienze analoghe, con lo scopo di completare la “raccolta dati” intorno a un fatto avvenuto. Solamente un certo numero di esperienze analoghe genera un sistema di esperienza elaborabile. La necessità di reiterazione trova ovviamente il limite nella collocazione di significato dei fatti, e se l'esperienza ha qualche tratto che mentalmente diviene accettabile dalla persona, ecco che scatta l'attrazione verso la ripetizione dell'evento. Troviamo un meccanismo paradossale di questo genere (ad esempio) nella genesi e nella attrazione per i film orror, adrenalinici e spaventosi. L'individuo che vi approccia, viene schoccato, ma contemporaneamente si innesca una potente dinamica attrattiva che lo indurra a ripetere più e più volte l'esperienza. Come è facile intuire, l'individuo che genera questa forte associazione, sviluppa contemporaneamente una lunga catena di ricordi assieme a condivisioni con altri e stereotipi che consolidano e ramificano l'esperienza che, all'inizio era una semplice spinta emotiva, e diviene poi un costrutto anche culturale, irrazionale ma fortemente strutturato.

 

 

                                                            La co-azione a ripetere
                                                 (definizione psicologica obsoleta - reinterpretazione del concetto)

 

Nello stesso quadro, si viene a definire un'importante un fenomeno evolutivo basilare: la ripetizione di esperienze come forma di apprendimento. Nella definizione del titolo, ossia "co-azione a ripetere", una volta si connotava la ripetizione come fenomeno distruttivo e patologico, come fosse una deviazione nella naturale condizione di apprendimento. Per oprea di illustri studi, si era attuata comprensione distorta di un meccanismo invece sanissimo. Non si può condannare e combattere un processo spontaneo originario e biologicamente stabilito, sulla base di un costrutto moraleggiante superficiale e punitivo.

 

In natura e anche per l'uomo, ogni attività psicomotoria diviene abilità dopo una certa quantità di ripetizioni e, similmente, come già trattato, anche l'evoluzione emotiva segue lo stesso sistema. Nella rappresentazione ideologica colpevolizzante della generica psicanalisi tradizionale questo meccanismo evolutivo è stato tacciato come patologia, con una definizione altisonante che sembra una condanna: soffrire di co-azione a ripetere. La psicanalisi, in questo processo, ha sfruttato la catena dei sintomi per orientare la ricerca, identificando il nucleo problematico e definendo le attività terapeutiche subordinatamente al problema. In questa prassi, però, l'identità del problema rimane una raffigurazione forzata e posteriore alla sua origine, in quanto si confonde il dinamismo relazionale, che è presunto come lacunoso dal terapeuta, con il principio evolutivo della ripetizione delle esperienze, che invece è una strategia primigenia stabilizzante. La coazione a ripetere diventa un fenomeno drammaticamente di stasi qualora non venga riconosciuta come fenomeno evolutivo ma le si attribuisca un valore negativo e si cerchi di ostacolare il processo elaborativo. In altre parole, la focalizzazione dell'attenzione sul comportamento finale di un processo è lontana dalla comprensione del motore del processo stesso e si viene a inibire l'esperienza evolutiva. La coazione a ripetere è quindi un meccanismo evolutivo; la psicologia dà una definizione negatoria e negativa a un fenomeno che ha una funzionalità evolutiva, nel quale una qualche componente morale e/o super-egoica ne blocca l'attività. In questo senso, la cura ha la stessa connotazione di una punizione; essa è a dimostrazione dell'inefficienza dell'individuo, ma non ne propone una prospettiva concretamente riabilitante.

 

Non dobbiamo scordare che, anche nella drammatica condizione della relazionalità, per esempio nel rapporto vittima-carnefice, ognuno dei due soggetti trae un beneficio stabilizzante da questo circolo. Ciascuno dei due ruoli, però, è destinato a evolversi e, quindi, ha una  durata limitata nel tempo; l'individuo, infatti, avvertirà i limiti di un sistema quando questo si approssima all'evoluzione e intraprenderà la dismissione del modello relazionale che fino a quel momento ha sostenuto.

 

Nella sottostante mappa concettuale, troviamo spiegata la sequenza di sviluppo dell'esperienza elaborata e la relativa conseguente struttura morale. Essa scaturisce dalla esperienza reale, quindi molto coerente e funzionale alla applicazione nella realtà. I comportamenti che ne scaturiscono tendono a dare i risultati aspettati.

 

 

 

 

 

Nella sottostante mappa concettuale, troviamo spiegata la concatenazione quando l'individuo non dispone di una esperienza elaborata. La mente cerca diversi modi di compensare, ma le dinamiche della paura condizionano le scelte negativamente, garantendo gli insuccessi e riconfermando le dinamiche della paura. Un circolo vizioso che produce una moralizzazione distorta e inefficace.

 

 

 

 

 

                                                             L'esperienza elaborata

 

Essa è l'acquisizione di un certo numero di esperienze istantanee (non elaborate) con relative variabili emozionali. La somma di una certa quantità di esperienze istantanee rappresenta un panorama relativamente stabile su cui l'individuo può fare affidamento nello scegliere come comportarsi. Nel concetto di stabilità emotiva, dobbiamo notare che, paradossalmente, anche la situazione più drammatica e/o sofferente, rappresenta qualcosa di non ignoto, in cui l'individuo sa per certo cosa aspettarsi. L'esperienzialità, composta da una serie di nuclei esperienziali istantanei, diventa un bagaglio che consolida una memoria emozionale, di cui usare la concretezza nel percepire se stessi e la propria identità. Cosa significa elaborare un'esperienza? Un insieme di esperienze istantanee diventa un nucleo stabile di esperienza elaborata quando sono state sondate tutte le variabili emotive e fattuali, e quando rispetto a queste si è sviluppata una capacità di previsione e reazione. Quando ciò avviene, l'individuo dismette l'attivazione emotiva rispetto al nucleo di esperienze e la sua capacità di azione intorno a quell'area dell'esperienza è relativamente stabile e serena. Elaborare un'esperienza significa quindi averla acquisita nella più estesa gamma di variabili possibili ed essere riusciti a rendersi pronti a una reazione. Successivamente all'elaborazione, avviene quindi che il soggetto non proietta più una instabilità o apprensioni intorno ad una data situazione poiché ha nel proprio bagaglio, la sicurezza di una capacità reattiva funzionante; in Modello Emozionale ha ora una componente in più, pronta all'uso.

 

                       Funzionalità di base del processo di esperienza:

                              reiterazione e collimazione emozionale.

 

Attraverso quale sistema valutativo avviene che una categoria di esperienze viene ritenuta sufficientemente sviluppata, al punto di essere memorizzata in maniera fissa nell'identità del soggetto? L'esperienza è un sistema funzionale primario, che vede la mente coinvolta nel processo di adattamento della persona (Sistema Limbico in primis), a livello principalmente corporeo e biologico, al proprio ambiente, contesto e relazioni.Nel sistema primario di adattamento, che troviamo nei bambini, le abilità si vengono a sviluppare in una sola direzione, quella dell'incremento; perciò, l'individuo sviluppa le proprie abilità sempre nella direzione orientata ad accrescerle e potenziarle. Per esempio, il bambino impara a camminare, diventa abile, diventa più abile, inizia a correre, diventa veloce, diventa più veloce eccetera; l'intero sistema fisico e mentale è coinvolto nel collimare e raffinare l'abilità. Un analogo processo avviene per tutte le altre abilità non solo motorie ma anche cognitive. Proprio in quest'ultima area, questo schema di sviluppo determina l'implemento e i limiti della futura personalità. Se osserviamo un qualsiasi banale comportamento, è facile notare che esso contiene una grande quantità di informazioni, di scelte e di varianti che la nostra mente elabora in maniera del tutto automatica. Questa ingente quantità di dati e i relativi automatismi comportamentali, ci fanno intuire quale mole di informazioni la mente ha registrato nell'arco di acquisizione di quel dato comportamento. Possiamo comprendere con chiarezza che l'individuo sviluppa una percezione di sé composta da una enorme quantità di dati esperienziali impliciti, cioè senza una loro tematizzazione cognitiva e da una parte cosciente che riguarda solo alcuni elementi localmente variabili di quel dato comportamento. Il meccanismo dell'esperienza e della sua elaborazione si articola in un sistema ancora più sofisticato nell'area delle relazioni umane, dove troviamo, oltre alle funzionalità più semplici del comportamento, le strutture e le sovrastrutture culturali e intenzionali. Questa notevole complessità ci porta a riflettere sulle interazioni che avvengono tra l'esperienzialità primaria, su cui si basa il nostro Modello Emozionale e conseguente personalità, e le sovrastrutture culturali, che orientano e complessano i comportamenti relazionali. Nei primi anni di vita il bambino sviluppa il proprio bagaglio esperienziale emotivo, in una continua interazione tra i Modello Emozionali genitoriali e quelli dell'entourage, con una continua contaminazione di tipo culturale. Questa interazione definisce il livello di completamento di ogni singolo nucleo esperienziale, sia istantaneo, sia elaborato. Quando un'area esperienziale non riceve dei feedback coerenti nella catena tra intenzione-comportamento-feedback, il modello emotivo registra un'incoerenza, che definisce una lacuna da compensare con ulteriori comportamenti volti a completare e chiudere l'esperienzialità intorno a quella data area. Accade quindi che, (escludendo la presenza di alcune condizioni culturali locali) quando un individuo reitera un comportamento, emerge precisamente la lacuna emozionale-esperienziale che l'individuo è programmato a cercare di compensare.

 

Consideriamo ora, in una prospettiva funzionale, il sistema della memoria a più livelli, dove troviamo: la memoria psicomotoria, la memoria procedurale, la memoria emozionale, la memoria cognitiva. Queste aree sono coinvolte nella definizione/percezione/interpretazione di quei fattori che motivano la persona nell'adozione di un comportamento. Nel divenire dei comportamenti umani, dobbiamo ricordare che non esiste uno specifico principio scatenante nello sviluppo causa-effetto dell'esperienza e quindi dell'identità, bensì le azioni e gli stimoli che la persona registra come esperienza sono parte di una catena continuativa, di cui l'individuo percepisce e comprende solo una minima porzione a livello cosciente.

 

Per molte ragioni legate al come avviene la percezione degli stimoli esterni e l'azione di influssi culturali coi quali ne stabiliamo l'attribuzione dei significati, avviene che percepiamo ogni nostra stessa reazione come una risposta a uno stimolo esterno e quindi sommariamente anche la nostre stesse reazioni vengono agglomerate ad un unico nucleo di memoria. Quindi nella nostra percezione della realtà, che è segmentata e frammentaria, anche lo stimolo viene interpretato e cognitivizzato come una sorta di feedback dei nostri comportamenti, agiti precedentemente in quel dato contesto, in un flusso continuativo. La consueta postura mentale è di collocare il significato delle cose come giuste o sbagliate, ma oggi comprendiamo che è assurdo “congelare” e giudicare nei suoi singoli istanti un flusso così articolato, soprattutto in funzione del fatto che a livello cognitivo ci sfuggono le reali sequenze attivate.

 

Ogni dettaglio comportamentale è un inconsapevole flusso di comunicazione, che stimola, attiva e motiva l'attivazione delle diverse aree della memoria e l'identificazione di altri comportamenti di risposta agli stimoli ricevuti e prodotti. Ciascuno di noi stimola e viene stimolato in un complesso linguistico di meta-comunicazioni, di cui la maggior parte inconsapevoli. Da questo meccanismo di interazione tra memoria e comportamenti, deriva l'interpretazione proiettiva e personale della realtà. In altre parole, la nostra esperienza modula la nostra capacità nella percezione e produzione di stimoli comunicativi, che vanno a incrementare e orientare la nostra memoria esperienziale. Questo processo permea tutta la nostra percezione/visione della realtà con un sistema scalare nella fase di fissazione della memoria; pertanto, il compiere una singola esperienza istantanea, per quanto incompleta, assume il senso percettivo di un'ipotesi di una possibile realtà. In questo senso, l'individuo concepisce che nella sua realtà esiste una nuova dimensione da esplorare. Solo quando il soggetto si attiva per esplorare questa nuova dimensione, inizia il processo esperienziale vero e proprio, con l'appropriarsi progressivo (nel tempo) dell'esperienza, attraverso il compimento di una catena di comportamenti e poi, attraverso la loro reiterazione e con la verifica dei feedback.

 

Con questo dinamismo, avviene che il sistema mnemonico fissa l'esperienza che viene a configurarsi come elaborata, comprensiva dei fattori comportamentali stabili e delle variabili previste/esperite. La stratificazione di questi dinamismi nella complessità dell'interazione umana, rappresenta l'identità della persona, il Sé. Come corollario alla comprensione di questo articolato meccanismo, in passato molti meccanismi della ripetizione delle esperienze, quando non trovavano una comprensione esplicita in chi li osservava oppure questi comportamenti non portavano una comprensibile chiarezza di scopi, si definivano “nevrotici”; oggi sappiamo capirli e comprendiamo la loro funzionalità nel complesso rapporto esperienza-identità. In questo senso, si può intendere la nevrosi come un fenomeno non filosoficamente patologico, bensì dinamico, che scaturisce da un'interazione tra le persone dove la catena: intenzione-comportamento-feedback, contiene delle distorsioni. I dinamismi distorti vengono interpretati come patologici, in quanto dall'esterno è facile notare la sofferenza di chi li vive. Di fatto però, assistiamo a un meccanismo funzionale che l'individuo assorbe, sviluppa e riproduce nel tempo, presumendo una sua funzionalità valida e rassicurante. Visto dall'esterno si osserva solamente il reiterarsi di un'esperienza distorta, in base alla quale l'individuo non riceve feedback coerenti con la sua intenzione e al comportamento. Tuttavia, dobbiamo considerare che la persona che vive la sofferenza non percepisce l'incoerenza dei feedback che riceve, ma la realtà di un fenomeno stabile e certo, dove il non funzionamento del sistema (fallimento del comportamento) viene attribuito a fattori esterni di cui non ha il controllo (locus of control esterno). Frequentemente le dinamiche della sofferenza restano a livello interiore e non-espresse e spesso nemmeno cognitivizzate, pertanto la mente non può nemmeno ricevere o  interpretare correttamente delle forme di feedback attraverso i quali poter correggere ilcomportamento. In questo senso, la sofferenza  provata non gli permette di vedere dove viene a distorcersi il processo di interazione. L'individuo assorbe ed elabora l'esperienza della realtà come valida e funzionale, a prescindere dal valore di soddisfazione o di sofferenza e per questa ragione, le esperienze istantanee si stratificano anche se distorte generando un quadro esperienziale distorto nel suo insieme, ma comunque elaborato e memorizzato. L'esperienza elaborata distorta diventa comunque “normale” perché l'individuo definisce il suo panorama secondo una struttura di tipo proiettivo; pertanto capiamo che la condizione di sofferenza, non sempre si evidenzia e motiva la persona nel cercare di cambiare lo stato delle cose. Osservando le sequenze di compratamenti che scaturiscono quando c'è una distorsione, si evidenzia chiaramente la condizione di lacuna del Modello Emozionale e il conseguente bisogno di reiterare per approfondire e superare la difficoltà in quella precisa area esperienziale.

 

Per fare un esempio, prendiamo in esame un comportamento distorto come l'impazienza. Una persona con questo tipo di attivazioni, produce molti comportamenti, alcuni dei quali procurano palesemente delle forme di sofferenza anche a sé stessa. Spesso le persone impazienti hanno difficoltà a comunicare e formulare concetti chiari e compiuti, respirano male e hanno diverse somatizzazioni, conducono le proprie relazioni sentimentali con forti conflitti. Che cosa genera questa complessa situazione? Siamo davanti alla strutturazione a più livelli di un addestramento familiare con forti avttivazioni (arousal) di apprensione, ma che nel contesto familiare sono state assorbite dalla persona associate al valore e dovere del proprio performare. Se essa non è efficiente, anzi, super efficiente, viene divorata da un potente senso di colpa ed inadeguatezza. La fretta e la mancanza di pazienza risultano essere solamente la parte visibile di una struttura deformata del proprio Super-ego, che converte le dinamiche apprensive primarie del Modello Emozionale in 'dovere', efficienza, fretta, sbrigatività e performance. Il risultato è chiaro, ma è meno banale comprendere come il suo entourage divenga un contesto dove, invece che generarsi di fatti e condizioni che ri-equilibrino gli sbilanciamenti verso l'impazienza, amplifica e potenzia il senso di impellenza e di dover sopperire algli errori e inefficienze di tutti. Tutti abbiamo sentito la frase: "faccio prima a farlo io che a spegarlo", e in questo esempio si ravvedono: la difficoltà di spiegare, quella di attendere che l'interlocutore impari, il senso di sacrificio e di performance (vittimismo) ed in fine un latente conflitto per l'insoddisfazione che ne consegue. Le persone che subiscono gli effetti di questo atteggiamento che abbiamo preso come esempio, soffrono di sentirsi negate, perché non saranno mai all'altezza, si sentono escluse e a loro volta frustrate (per dire solo alcune delle molte conseguenze). Questi effetti collaterali risultanti dal comportamento impaziente, generano molti effetti nel comportamento di chi li subisce, che potremo riassumere in una parola: passività. Chiunque si trovi ad avere a che fare con persone iper performanti non riesce a stare al loro passo, alla loro velocità e si genera rapidamente (per cominciare) una de-responsabilizzazione e successivamente una potente frustrazione conflittuale. Lo stato di passivazione rasenta talvolta la ripicca da parte di chi invece dovrebbe divenire più attivo per adeguarsi. Ecco che la persona impaziente leggerà questa sottile vendetta e si troverà ad avvertire uno stato di isolamento a sua volta, che ovviamente genera le alterazioni e frustrazioni già descritte. Lo stato proiettivo della persona impaziente si alimeta ancora di più nella direzione di 'dover essere ancora più efficiente' per risolvere la inefficienza e passività degli altri nell'enotourage.

 

Questa condizione di sofferenza che si osserva più facilmente dall'esterno, obbliga l'individuo a dover sviluppare l'ampiezza del range dei possibili risultati. Una volta esperiti un numero sufficiente di casi, il range è completato e l'esperienza viene memorizzata come certezza, ossia parte della nostra identità. Quando un'esperienza ha percorso questo ciclo, diviene un automatismo dal punto di vista comportamentale, per cui ogni volta che il soggetto si troverà in una data situazione, il suo background di identità attiverà quel dato comportamento in maniera totalmente automatica. A questo punto abbiamo capito che l'obsoleta visione etichettata come “nevrotica”, nel senso di patologia dei comportamenti è tecnicamente sbagliata, perché al contrario, è una condizione funzionale e l'unica via di evoluzione che l'individuo ha come strumento per adeguarsi alla realtà relazionale, e produrrebbe un effetto assolutamente positivo purché ne abbia ed ottenga un feedback adeguato. Spesso, per varie ragioni infatti l'entourage non fornisce reazioni adeguate, ma espressioni reattive e colpevolizzanti (moralizzate o vittimizzazioni) che la persona sofferente non può, e non riesce, ricondurre al proprio automatismo comportamentale distorto.

 

La reiterazione e l'ampliamento del range delle esperienze e relativi feedback non sono presenti solo nei casi di sofferenza, ma, con un'identica meccanica, anche nei casi in cui il motore attivante è la soddisfazione. Che l'individuo stia praticando un'attività soddisfacente (per es., lo sport preferito) o stia soffrendo ( per es., di gelosia), egli adotta analoghi schemi di sviluppo e percezione della realtà e dei relativi feedback.

 

A seguito di questo sistema di acquisizione e di ambientazione esperienziale, l'individuo determina i propri comportamenti in maniera totalmente subordinata all'ampiezza e alla tipologia delle esperienze elaborate. Come già esposto, dobbiamo ricordare che il percorso di sviluppo dell'identità viene definito dalla mappa del Modello Emozionale. Quindi, possiamo dire che, rispetto al concetto dove l'individuo vive una sorta di libertà nel decidere e determinare la propria vita, la condizione mentale reale comporta che l'autodeterminazione della persona trova il limite dato dalle proprie esperienze. Il risultato generale, lo ricordiamo, è che il processo di costruzione dell'identità mantiene ciascuna esperienza istantanea in uno stato aperto nell'elaborazione per un certo tempo o un certo numero di reiterazioni; dopodiché, il contenuto viene memorizzato e fissato. Questo processo non prevede, se non con un lungo “riaddestramento”, la revisione della memoria fissata e, pertanto, la nostra identità diventa molto difficilmente modificabile. Possiamo dire che, nella struttura del nostro Modello Emozionale e la sua modalità di evoluzione e sviluppo, non è prevista la revisione e quindi risulta programmato che quello che noi percepiamo sia “la” realtà, proprio perché essa è stata esperita e verificata. Si produce perciò un fenomeno di oggettivazione della soggettività, secondo il quale è prevista una presunzione di efficienza, la quale permette di proteggere la nostra identità da una continua necessità di verifica.

 

Riprendendo quanto detto per ciò che concerne le emozioni (curiosità evolutiva e paura), dobbiamo ricordare che è l'attivazione emozionale a determinare l'attivazione del sistema esperienziale. Le emozioni sono uno stato di eccitazione (apprensione inconsapevole) collegato direttamente ai processi attentivi biologici che guidano la totalità del nostro corpo. Un'apprensione, quando è attiva, mantiene aperto il canale di elaborazione di quella specifica area d'esperienza; via via che l'esperienza viene a definirsi elaborata cessa l'attivazione emotiva, e si fissa nell'identità (nel Sé).

 

Rassumiamo lo schema finora esposto.

Nella reiterazione di una data esperienza, all'inizio l'individuo è fortemente sollecitato emotivamente (apprensioni indefinite nella sorgente), in quanto egli non sa ancora comprendere il proprio livello di efficienza e/o di abilità in quel dato ambito; nel progredire della reiterazione, la pressione emotiva gradualmente diminuisce e cresce la percezione dell'abilità e dell'efficienza. Nelle condizioni di sofferenza, troviamo che il processo tra la reiterazione esperienziale e i feedback letti non ha una coerenza diretta nel soddisfare la percezione dell'abilità/adeguatezza dell'individuo. Le apprensioni attivate dall'incoerenza tra l'esperienza vissuta e la situazione che l'individuo sta vivendo, inducono comportamenti rivolti a misurare tutte le tre condizioni (abilità, capacità, limiti), che verranno riconfrontate con l'esperienza del . Questa particolare condizione impedisce la diminuzione della pressione emotiva e favorisce l'acuirsi della focalizzazione su fattori operativi o simbolici da parte dell'individuo, che non riuscirà a elaborare l'esperienza e, di conseguenza, coattivamente continuerà a reiterarla in una dinamica dalla risultanza distorta.

 

                                                  La rimozione delle esperienze

 

Consideriamo ora brevemente i fenomeni di rimozione di alcune particolari esperienze . La rimozione o cancellazione del fatto esperito dalla nostra memoria è un fenomeno sul quale sono state spese molte congetture. Si è tentato di dare una spiegazione funzionale direttamente correlata ai traumi patologici, si è cercato di sostanziare un legame profondo tra il presunto trauma generatore e la rimozione dell'esperienza come meccanismo difensivo, tuttavia, come molte pratiche di ricerca condizionate da un preciso intento, non ha prodotto una concreta spiegazione funzionale, se non una generica funzionalità di tipo protettivo, con cui l'inconscio si scherma; ma da cosa si difenderebbe l'inconscio, nel ricordare un trauma esperienziale del quale non ha parametri interpretativi e soprattutto, da un evento irripetibile e privo di senso relazionale e funzionale? Dobbiamo ricordare che assai frequentemente un trauma esperienziale è profondamente legato a stereotipi culturali e morali che ne determinano l'interpretazione e condizionano e definiscono valore e potenza. Ma al contrario, nella realtà, un trauma episodico, per quanto grave, risulta scarsamente associato a dinamismi emozionali primari specifici. Questa mancanza di associazione, spiega la relativa/scarsa memorizzazione e contestualizzazione, e soprattutto è facile osservare che un soggetto che ha avuto un trauma intenso, ne focalizza e definisce le condizioni di sofferenza eminentemente per effetto di un potenziamento generato dalla struttura culturale, morale e comunicativa vittimistica, e sulla espressione/comunicazione attiva verso l''entourage del proprio stato/disavventura. Comprendiamo quindi che le attivazioni direttamente collegate al trauma, vengono rapidamente sostituite da un altro assetto, con altre finalità e soprattutto, al contrario,  non in forme più direttamente collegate al trauma stesso. Sarebbero forme legate al trauma qual ora le reazioni portassero l'individuo a reiterare la condizione sul piano di azione allo scopo di evolvere la stabilità emotiva primaria. Alcuni studi suggeriscono che a questo proposito troviamo ad esempio gli incubi post traumatici, oppure allucinazioni, oppure ancora distorsioni della percezione sensoriale,  ma in una visione integrata di un sistema funzionale, siamo davanti a simbolizzazioni, oniriche o deliranti, esattamente con la stessa dinamica e attivazione di altre condizioni non legate a traumi. La grande differenza è il plauso o accordatura culturale, sulla base della quale il soggetto userà come traumatica vittimistica quel contenuto simbolizzato, ansioso e soverchiante che in altri contesti verrebbe trattato con una drammaticità assai ridotta. L'influsso della connotazione e catalogazione morale e vittimistica culturale, determina in qualche modo un “successo” relazionale, anche se negativo e basato sulla sofferenza, che viene utilizzato a piene mani.

 

Per fare un esempio, se una persona fa un incidente d'auto, la sequenza è molto breve, qualche secondo o frazioni di secondo. Il sistema sensoriale non ha il tempo fisico di registrare nessuna sequenza. Dopo l'incidente la mente registrerà, qual ora sia cosciente, la catena di reazioni fisiche, coscienti, pensieri e molto altro, e rapidamente alla registrazione emotiva si inserirà una forte catena proiettiva contaminata da tutti i fattori culturali del caso, ferite, ingiustizie, accudimenti, insicurezze, certezze ecc... Comprendiamo che dell'evento specifico, la mente registrerà una esperienza totalmente proiettiva e poco legata all'incidente, ma associata ai comportamenti intorno ad esso, ma soprattutto tante cose avvenute dopo l'incidente.

 

L'individuo, rispetto a certi traumi e situazioni, non trovando nell'ambiente una ripetibilità, non attua la meccanica della elaborazione in quanto mancante di dati esperienziali ripetibili; pertanto, dopo un lasso di tempo, cessa la loro funzionalità nell'evoluzione esperienziale, la mente ne rimuove i contenuti evolutivamente esperienziali e rimane eventualmente solo la memoria storica, (se l'esperienza ha un valore sociale o condivisibile).

 

Riflettiamo ora su forme di trauma reiterate nel tempo, dove la sofferenza non è sporadica e isolata.

Per fare un esempio riduttivo, chi ha subito della violenza sessuale, tematizza la violenza e la propria condizione di vittima ma non la spinta a superare la condizione della sofferenza, sulla quale invece si genera un tabù e rimozione. Inoltre molto spesso la persona non tematizza affatto mentalmente la violenza subita, poiché per il proprio contesto rappresenta una consuetudine. Analogamente, sul piano cognitivo e morale, chi subisce violenza ne colloca il significato come una conseguenza della quale è responsabile e non vittima (stiamo facendo riferimento al legame morboso tra vittima e carnefice). Nell'insieme, comprendiamo quindi che i contenuti di esperienza e di elaborazione seguono principi molto diversi da quelli della mente cognitiva e cultura moralizzata sociale. Risulta palese quindi, che la morale individuale di chi subisce violenza sia diversa e si discosti da quella socialmente proposta, definendo in modo diverso le posizioni di vittima e carnefice. In questo modo si viene a tematizzare e modificare tutto il costrutto di base, secondo il quale si viene a definire l'elaborazione della esperienza.

 

Come mai? E perché  la persona, in altre analoghe condizioni di dolore e sofferenza, ha invece una naturale spinta rivolta ad attivare una significativa serie di processi nel tentativo di evolverla/superarla (la sofferenza)?

 

Secondo delle osservazioni più complete, non basate unicamente su concetti morali (di vittima e colpevole), quando si vivono delle situazioni o esperienze fortemente negative, si costituisce nella mente una particolare condizione di attività, nel cui quadro generale, la vittima soffre di una "ingiustizia" su un livello eminentemente culturale/sentimentale e al contrario, emotivamente troviamo scarso materiale da elaborare ed associare a forme di esperienza strutturabili, e/o elaborabili; semplicemente non ce n'è bisogno. Per questa precisa ragione si attiva anche il legame sentimentale tra la vittima e il carnefice.  Paradossalmente possiamo osservare che analoghe situazioni di sofferenza, qual ora non siano tematizzate come “consuete”, a parità di stato la mente e la persona attuano molti comportamenti di tipo compensativo proattivo. Per fare un esempio indicativo (per similitudine) quando una persona soffre di un forte complesso di bruttezza, o inferiorità, è facile osservare che vengono agiti moltissimi comportamenti che hanno delle specifiche finalità di evoluzione dell'esperienza.

 

Andiamo a capirne i dettagli.

Un ragazzo ha la faccia deformata da un incidente (per esempio) e la sua vita cambia repentinamente. Da un lato la sua mente ha da prendere dimestichezza con gli effetti di questa novità, dall'altro l'entourage, altera repentinamente i propri comportamenti verso il ragazzo (lui se ne accorge), amplificando le distorsioni di valore e percezione sulla gravità del proprio stato. Si generano svariate situazioni, dove il ragazzo dapprima ha da misurare e sperimentare come le persone lo accettano ancora (o non accettano) e successivamente inizierà a sperimentare e scoprire nuovi comportamenti attraverso i quali rendersi nuovamente socialmente accettabile. In un arco di tempo variabile, il ragazzo applicherà una grande quantità di azioni rivolte a compensare e ristrutturare il suo stato interiore, passando da una prostrazione di sofferenza ad un nuovo equilibrio.

 

Qual è la differenza tra questo tipo di trauma e uno di uguale drammaticità interiore,  ma di tipo socialmente e moralmente condannato come la violenza sessuale?

 

La differenza verte eminentemente sulla posizione del tipo di vittimismo applicato, poiché in entrambi i casi il danno è irreparabile, ma la collettività applica una valorizzazione, tabù, e moralismi completamente diversi. In ambo i casi l'atteggiamento promosso è verso la rassegnazione passiva (nelle culture latine), ma sulla tematica sessuale la vittima si sente investita di un valore drammatico senza uguali. Questa condizione, che qui non vogliamo collocare moralmente come giusta  sbagliata, ci fa capire che l'effetto post-traumatico, è radicalmente diverso unicamente per questioni culturali, che attribuiscono al mondo della sessualità la massima condizione di dramma,  sopra al peso della morte stessa.

Comprendendo questa particolare metrica di interazione tra il trauma vero e proprio e la sua connotazione di valore sociale, capiamo anche quanto sia superficiale e sbrigativamente riassuntivo parlare di traumi allo stesso modo, attribuendovi valori e significati inconsci a caso. La mente e il sistema emozionale primario (che nulla ha a che vedere coi sentimenti) genera e memorizza gli eventi secondo precise condizioni, che abbiamo capito avere un senso diverso da quello cognitivo che usualmente si utilizza per definire il valore di un trauma. Parlare di trauma rimosso, spesso, anzi quasi sempre è una illazione ignorante.

 

 

 

 

 

 

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